Quale è il legame tra il sistema proporzionale e la funzione che assolve il Parlamento nella struttura istituzionale dell’Unione ? La natura proporzionale dello scrutinio non è stata intaccata dalle modifiche di febbraio, ma quali sono le conseguenze per il sistema partitico nazionale ?
Il Parlamento Europeo è eletto con 27 leggi elettorali differenti. Ogni Stato Membro ha uno specifico meccanismo di attribuzione dei seggi che riflette la struttura del sistema partitico nazionale. Allo stato dell’arte non è ancora prefigurabile un sistema elettorale unico per i 378 milioni di elettori europei. Un tale dispositivo condurrebbe verso un sistema partitico integrato su scala europea con i relativi leader candidati alla Presidenza della Commissione, configurando in questo modo un rapporto di fiducia tra Parlamento Europeo e Commissione comparabile a quello in vigore nei regimi parlamentari nazionali. Sebbene detenga sostanziali prerogative, il Parlamento assolve in primo luogo ad una funzione rappresentativa. Come vedremo, questa funzione spiega la scelta proporzionale del sistema elettorale.
La modifica della legge elettorale europea, approvata da Camera e Senato nel corso dello scorso febbraio, lascia anche invariato il regime delle preferenze, delle incompatibilità e dell’elettorato attivo e passivo. La rappresentanza al Parlamento di Strasburgo è articolata secondo raggruppamenti, altrimenti detti famiglie europee, che riuniscono partiti e liste nazionali. Nelle schede elettorali del 6 e 7 giugno compariranno dunque i noti simboli dell’arena politica nazionale : l’appuntamento elettorale è un’occasione per ricevere dagli elettori un sondaggio scientifico dei rapporti di forza tra gli schieramenti e all’interno di essi. L’innovazione apportata dalla legge di modifica riguarda l’introduzione di una soglia di sbarramento al 4% che non intacca la natura proporzionale del sistema. Questa soglia ha tuttavia importanti riflessi nel sistema politico nazionale, potendo contribuire alla modernizzazione del quadro partitico e al consolidamento di una dinamica maggioritaria.
L’Italia elegge 72 parlamentari. Quando entrerà in vigore il Trattato di Lisbona il numero salirà a 73, per un totale di 750 rappresentanti più il Presidente del Parlamento. Fin dal 1979, quando il Parlamento Europeo è stato eletto per la prima volta con suffragio universale diretto, l’Italia ha adoperato il sistema proporzionale. Questa scelta era in sintonia con il regime politico della Prima Repubblica, decisamente ispirato secondo criteri proporzionali : rappresentanza di tutto l’arco partitico in Parlamento, coalizioni di governo multipartitiche, compartecipazione di più attori nelle scelte fondamentali del paese. La legge elettorale europea prevedeva il metodo Hare, denominato anche proporzionale puro per la sua capacità di fotografare con precisione la percentuale di consenso di ciascuna lista e tradurla in seggi. Il quoziente di Hare è il rapporto tra il totale dei voti attribuiti alle liste e il numero di seggi da ripartire ed indica la soglia minima di voti per eleggere un candidato. Un seggio spetta al partito che raggiunge questa soglia, due a chi la duplica e così via.
Il sistema proporzionale è coerente con la struttura istituzionale dell’Unione. Il Parlamento Europeo non è infatti il luogo dove si formano coalizioni mono o pluri-partitiche per esprimere un voto di fiducia alla Commissione e portare avanti un programma di riforme. I membri della Commissione sono al contrario proposti dagli Stati Membri. Il voto di fiducia del Parlamento Europeo fa parte di una seconda fase della formazione della Commissione. Sebbene all’inizio della scorsa legislatura il Parlamento Europeo abbia fatto sentire la propria voce, rifiutando la candidatura a Commissario di Rocco Buttiglione, è verosimile che la formazione della Commissione rimanga ancora una volta appannaggio degli Stati Membri. Quanto al programma di riforme, la Commissione detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa nel processo decisionale europeo e ne risponde non solo di fronte al Parlamento ma anche di fronte al Consiglio, nello specifico la riunione dei Capi di Stato e di Governo. Sono invece prerogative del Parlamento buona parte del potere legislativo, condiviso con il Consiglio degli Stati Membri, e i meccanismi di censura politica, interpellanze, interrogazioni e commissioni d’inchiesta, nei confronti degli altri organi istituzionali e amministrativi.
Fermo restando la rilevanza di queste prerogative, il Parlamento incardina in primo luogo la funzione di rappresentare istanze, interessi, opinioni della composita società europea. Al suo interno ospita formazioni partitiche ferocemente euroscettiche, potendo in questo modo sfatare il mito di un’Europa di soli tecnocrati e burocrati. E’ quindi un’istituzione per sua natura inclusiva che non può sottostare a meccanismi di elezione maggioritaria secondo cui il seggio è aggiudicato al solo vincitore nel singolo collegio elettorale di riferimento, escludendo i restanti attori partecipanti. Questo meccanismo può ridurre il numero di partiti presenti in Parlamento, e quindi favorire la costituzione di più solide coalizione di governo. Questo non è al momento l’obiettivo del Parlamento Europeo, che intende invece essere una camera di rappresentanza, mediazione e compensazione di interessi molteplici e divergenti. La maggioranza che si forma al suo interno è eterogenea. Il Parlamento esercita i suoi poteri tramite un’alleanza di fatto tra il Partito Popolare Europeo e il Partito Socialista Europeo in un continuo sforzo di compromesso, mirando anche ad includere i restanti raggruppamenti (Unione dell’Europa delle Nazioni, Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa, Sinistra Unitaria Europea, Verdi e il gruppo euroscettico Indipendenza/Democrazia).
La natura proporzionale delle elezioni europee è condivisa da tutti gli Stati Membri. Anche il Regno Unito, paese di tradizione storica maggioritaria, ha optato per questo scrutinio a partire dalle elezioni europee del 1999. La normativa comunitaria del 2002 in materia elettorale prevede quindi l’adozione del proporzionale ma lascia libero lo Stato Membro in merito al regime delle preferenze. Il nostro proporzionale permette al singolo elettore di scegliere la lista e di esprimere preferenze per i relativi candidati, a seconda della circoscrizione da un massimo di tre preferenze ad un minimo di una. In Germania, Spagna, Francia, Grecia e Portogallo, l’ordine dei candidati sulla lista non può invece essere modificato. Prima di febbraio il Premier Berlusconi aveva proposto l’introduzione delle liste bloccate, presenti anche nella legge elettorale nazionale. Tutti i partiti di opposizione hanno rifiutato questa proposta. In Italia il regime delle preferenze è infatti da molti percepito come un potere in mano all’elettore sovrano che può in questo modo bilanciare i meccanismi di selezione dei candidati da parte dei partiti. A differenza di altri Stati Membri, in Italia questi meccanismi restano poco trasparenti.
La normativa comunitaria del 2002 è di fondamentale importanza per quanto riguarda il regime delle incompatibilità. A partire dalle elezioni del 2004 la carica di parlamentare europeo non è più compatibile con la carica di parlamentare nazionale, ponendo in questo modo fine alla prassi scorretta del doppio mandato e del doppio stipendio. La normativa comunitaria mira opportunamente ad affermare l’importanza del ruolo del Parlamento Europeo e quindi la continuità che richiede lo svolgimento del mandato di parlamentare. La legge italiana fissa l’incompatibilità anche con le cariche di Presidente di Giunta Regionale, Assessore Regionale, Consigliere Regionale, Presidente di Provincia e Sindaco di Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Il Trattato di Maastricht del 1992 ha invece introdotto importanti novità in materia di elettorato attivo e passivo. L’introduzione dell’istituto giuridico della cittadinanza europea permette infatti ai cittadini europei, che risiedono in un altro Stato Membro, di eleggere o essere eletti come rappresentanti dello Stato ospitante. E così dunque il giornalista Giulietto Chiesa correrà nella lista del partito della minoranza russa in Lettonia mentre l’ex Premier Romano Prodi ha rifiutato di divenire il capolista dei liberali in Belgio.
Le elezioni Europee hanno un minor tasso di partecipazione : anche questo è un dato che sembra rimanere. L’ultimo sondaggio dell’ Eurobarometro in Italia indica infatti che solo il 34% degli intervistati si dichiara certo di andare a votare contro il 15% che si dichiara del tutto certo di non andare a votare. E’ una mobilitazione certamente da incoraggiare. Nel 2004 il tasso di partecipazione è alla fine stato pari a circa il 73% degli aventi diritto. Sussiste un certo divario rispetto alle elezioni legislative nazionali del 2006 e del 2008 quando è andato a votare rispettivamente circa l’83 % e l’80 % degli aventi diritto.
L’assenteismo alle elezioni europee è da ricondurre in primo luogo al limitato interesse che gli elettori italiani nutrono verso le Istituzioni Europee. L’impianto istituzionale dell’Unione è eccessivamente sofisticato, le competenze esclusive e concorrenti non sono chiare e lo stesso ruolo del Parlamento Europeo, unica istituzione eletta con voto diretto, risulta nebuloso in quanto non assimilabile a quello ricoperto da un’assemblea nazionale. Infatti, secondo il sondaggio di Eurobarometro, solo il 44% degli intervistati si dichiara interessato all’evento delle elezioni europee. L’impostazione che i partiti danno alla campagna elettorale non aiuta ad accrescere quest’interesse. Le tematiche discusse, principalmente inerenti la crisi economica (disoccupazione, tutela del risparmio, rilancio degli investimenti, spese in ricerca e sviluppo), sono affrontate in maniera generica, senza illustrare all’elettore gli effettivi strumenti di cui dispone l’Unione. Se di Europa si parla poco e male, il focus dell’evento si sposta. I partiti percepiscono in primo luogo le elezioni europee come un test per saggiare il consenso elettorale di cui godono. L’appuntamento risulta vitale per avere sentore degli orientamenti politici dell’opinione pubblica all’indomani di un’importante evento politico come le elezioni legislative del 2008 e ad un anno di distanza dalle regionali del 2010. Non meno vitali sono l’esposizione mediatica durante la campagna, i rimborsi elettorali e la parte di stipendio che il parlamentare vincitore devolverà al partito. Questi fattori spiegano l’introduzione della soglia di sbarramento al 4%, la novità significativa di queste europee. Alle elezioni di giugno le liste, che non otterranno un numero di voti superiore al 4% dei voti espressi su scala nazionale, saranno escluse dalla distribuzione dei seggi secondo il metodo Hare e non otterranno i rimborsi elettorali.
Le elezioni legislative del 2008 hanno drasticamente ridotto il numero di attori presenti nel Parlamento della Repubblica. La semplificazione del quadro partitico italiano è un risultato che la classe politica italiana andava perseguendo dalla fine della Prima Repubblica. Tanto minore è il numero di partiti che siedono nel Parlamento della Repubblica, tanto maggiore è la possibilità di costituire coalizioni di governo capaci di governare per l’intera legislatura. Al di là infatti del colore politico della coalizione, la stabilità politica è condizione necessaria per imprimere una direzione strategica alla modernizzazione del paese.
Rispetto alla precedente legislatura non siedono in Parlamento : Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi, Sinistra Democratica, Partito Socialista, Radicali, Udeur e La Destra. Tutte queste formazioni hanno fermamente protestato contro l’accordo sancito tra maggioranza e opposizione nel mese di febbraio in materia di modifica alla legge elettorale. La protesta descriveva la soglia di sbarramento come un elemento pregiudicante la natura proporzionale dello scrutinio, potendo alterare la rappresentazione della mappatura partitica italiana in seno al Parlamento Europeo. Non si tratta proprio di alterazione bensì di opportuna razionalizzazione. La stessa normativa europea del 2002 accorda allo Stato Membro la facoltà di introdurre una soglia di sbarramento fino al 5%. Ad esempio in Germania, Francia e Polonia lo sbarramento è fissato al 5% e in Svezia e in Austria al 4%. Il Parlamento Europeo non si può infatti trasformare da agorà di rappresentanza della complessità della società europea in centro di sostentamento finanziario e di attrazione mediatica per partiti e partitini.
Per alcune formazioni la soglia non sbarra proprio nulla ma risulta invece un incentivo per riorganizzare la piattaforma partitica. E’ questo il caso della sinistra che ha un potenziale politico che supera di gran lunga il 4%, tenendo conto che la sola Rifondazione nel 2004 ottenne il 6%. Se al Parlamento Europeo non siederanno rappresentanti appartenenti all’area comunista, socialista e verde, la responsabilità risiede unicamente nell’incapacità dei relativi dirigenti di trovare formule di aggregazione vincenti. Frutto dello sbarramento è l’aggregazione in due liste : Rifondazione unita ai Comunisti Italiani e Sinistra e Libertà. Ancor più strategica sarebbe stata un’unica lista, ma si è comunque avuta una semplificazione rispetto alle cinque precedenti.
Per formazioni quali Udeur e La Destra lo sbarramento risulterà una seria barriera. Non è però da imputare allo sbarramento il fatto che l’Unione dei Democratici Cristiani intercetta con maggior successo il voto di centro e di orientamento cattolico. Il Popolo della Libertà e la Lega Nord colmano invece con successo la quasi totalità dello spazio politico di destra. Ancora una volta la sostanza politica della mappatura partitica italiana in seno al Parlamento Europeo non è intaccata. Il Partito Radicale rappresenta l’unica eccezione : l’originalità del suo messaggio politico non è colmata da alternative. Il Partito Democratico avrebbe dovuto includere tra i candidati della sua lista rappresentanti appartenenti a questa importante tradizione politica.
La modifica della legge elettorale europea rappresenta una tappa del processo intrapreso per giungere ad una democrazia dell’alternanza maggioritaria : due coalizioni si contendono il governo ed entrambe hanno le potenzialità per governare per l’intera legislatura. Le elezioni nazionali del 2008 hanno premiato la formula di coalizione dello schieramento di centro destra, composto sostanzialmente da due attori, Popolo della Libertà e Lega Nord. Diverso è il discorso per lo schieramento del centro sinistra che ad oggi non riesce ancora a costituirsi in coalizione per fare opposizione e candidarsi all’alternanza. Tuttavia, la modifica alla legge elettorale europea salvaguarda il risultato conseguito all’indomani di queste elezioni, quando le soglie di sbarramento al 10% per le coalizioni e al 4% per le singole liste, previste dalla normativa nazionale, hanno permesso a soli 3 partiti di opposizione di entrare nel Parlamento della Repubblica. E’ probabile che presto o tardi salgano a 4 dal momento che la sinistra alternativa detiene un considerevole capitale politico da sfruttare. E’ da una mappatura delle forze di opposizione così congegnata che lo schieramento di centro sinistra potrà anch’esso trovare una formula di coalizione vincente, includente o non includente tutti gli attori di opposizione. Riedizioni del cartello elettorale del 2006, composto da 15 formazioni e durato soli due anni, non portano lontano. La modifica alla legge elettorale, che trasforma il sistema proporzionale puro precedente in uno scrutinio più moderno e più razionale, è quindi parte integrante del processo di consolidamento del sistema partitico italiano.
12-V-09, Valerio Cendali Pignatelli, glieuros.eu