Emma Bonino: ´trabajar por un cambio de cultura política´

Emma Bonino, vicepresidente del Senato, parla dei temi dell’assemblea di fine mese e del futuro dei Radicali. E della politica italiana.

Che differenza c’è tra questa Chianciano e i due appuntamenti che l’hanno preceduta?

Ci troviamo in una situazione nuova, all’indomani delle europee dove le altre tre liste che hanno mancato come noi il 4% erano tutte di coalizioni nate con l’obiettivo di superarlo e nulla più. Mentre la nostra costituiva il tentativo, certo arduo, di cogliere l’occasione "elettorale" non solo e non tanto per ottenere degli eletti quanto per irrobustire e incardinare la lotta, che Pannella chiama "partigiana", volta ad aiutare gli italiani a liberarsi dall’ormai letale sessantennio partitocratico, promuovendo una vera alternativa democratica in Italia. Il nostro è un tentativo estremo, armati di non violenza, condotto facendo appello a tutta la nostra capacità politica di dare corpo, voce, speranza, attualità a quella "rivoluzione liberale" che ancora manca al nostro Paese.

Può dirmi quali sono le altre questioni che affronterete?

Tre questioni saranno centrali: riforma della giustizia, riforme economiche e la laicità come elemento cardine delle nostre istituzioni repubblicane, in un contesto in cui lo "Stato di diritto’ è sempre più, per molti, un elemento marginale del convivere civile.

Nelle scorse settimane avete rivolto diversi inviti ad altre forze, affinché trovino in questo appuntamento un momento di raccordo con la vostra iniziativa politica. Cosa vi aspettate e da chi lo aspettate?

Noi ci aspettiamo che tutti coloro che condividono con noi almeno alcune delle battaglie per una grande riforma all’americana delle istituzioni, perla libertà di scelta e di ricerca, per la giustizia giusta, per l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e la creazione di un’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, per le riforme economiche e un nuovo welfare, si uniscano a noi, a cominciare dalle quasi 750mila persone - per noi letteralmente fonte di nuova vita - che ci hanno votato alle ultime europee sulla base di precise proposte per mettere fine al regime partitocratico.

L’idea di coagulare un fronte laico, riformista, liberale, libertario e socialista era già all’origine della Rosa nel Pugno. Cosa ha fatto fallire quel progetto? E perché credete che oggi la stessa prospettiva e le stesse istanze possano trovare maggiore fortuna?

Il progetto è fallito per la scarsa determinazione della componente socialista, che poi si è fatta attrarre da altre sirene. Abbiamo visto com’è andata a finire. Noi Radicali alle europee abbiamo ottenuto il 2,4%, un risultato insufficiente per tornare a Strasburgo ma che, politicamente, dimostra che continuiamo a esistere. Noi non vogliamo fare di Chianciano 3 una riunione di reduci ma piuttosto rilanciare un progetto che rimane valido in un sistema che stenta a diventare genuinamente bipartitico, e nel quale l’idea stessa - per non parlare della pratica - dello Stato di diritto diventa ogni giorno più evanescente.

Parliamo del Pd. C’è chi dice che avete fatto di tutto per essere "trascurati"; insomma, che alle elezioni volevate andare da soli e siete stati ben felici del mancato incontro con Franceschini. È così? Al di là di questo, cosa resta di un rapporto che, poco più di anno fa, vi ha visti correre nelle loro liste? E quali sono le prospettive?

Nessuno ama essere "trascurato", soprattutto se dimostra costantemente di essere portatore d’idee e di proposte. Noi abbiamo avuto un rapporto leale e proficuo con i gruppi parlamentari del Pd, anche se su molti temi abbiamo avuto posizioni diverse. E con il partito che il rapporto è stato inesistente sin dall’inizio e lo è diventato in maniera esplicita con Franceschini, che ha chiuso la porta in faccia alle europee facendo marcia indietro rispetto a un accordo sulla candidatura Pannella, sconfessando se stesso visto che all’epoca era vice di Veltroni e anzi annunciandoci di aver operato - da solo - un divorzio "consensuale". Il fatto è che il Pd non si è ancora capito cosa sia e non lo sapremo ancora per un pezzo. È difficile parlare di prospettive in un contesto di tale opacità e incertezza. Il berlusconismo è al tramonto? Più che di tramonto del berlusconismo parlerei di erosione dell’immagine pubblica di Silvio Berlusconi e della sua capacità di "governo", della famosa cultura del fare...

Quali sono le altre forze da battere? Non parlo di sigle e partiti, quanto di culture, aree, tendenze, percezioni e credenze diffuse...

Complessivamente penso che siamo passati, quasi inavvertitamente per i più, dallo status di cittadini, con i relativi diritti e doveri, a quello più informe di popolo; poi da popolo a pubblico o audience che dir si voglia. Da qui a "plebe" il passo è breve anche perché, come alcuni cominciano a far notare, l’audience altro non è che la versione moderna e mediatizzata della plebe. Poi vedo dosi massicce di opportunismo, dove le convenienze tattiche del momento hanno il sopravvento sulle convinzioni di sempre. Lo abbiamo visto al referendum dove ha stravinto l’astensionismo, che non può essere un fronte credibile di "resistenza" democratica né uno strumento educativo dal punto di vista del "conoscere per deliberare". Ho visto che molti cosiddetti liberali si sono rifugiati nell’astensionismo, anche al costo di sacrificare sull’altare il quesito sull’abolizione della candidature multiple da loro stessi definito come sacrosanto. Insomma, a coltivare convinzioni e legalità si è sempre più sparuti in questo Paese. Questo lascia grande spazio a coloro che, dopo quasi 150 anni, ritengono che nel nostro Paese sia ancora prematura una rigorosa divisione tra Stato e Chiesa. Di tutta evidenza, quello della difesa della laicità è un altro fronte dove continuare a stare in trincea. Anzi dobbiamo chiamare a raccolta tutte le forze e le energie disponibili per rilanciare queste battaglie in campo aperto. Per non parlare di un populismo sempre più evidente, con colorazioni razziste preoccupanti in particolare nell’adozione dell’assioma immigrati = criminalità = insicurezza, buono forse per vincere qualche punto alle elezioni, ma pessimo punto di partenza per una necessaria e rigorosa politica di integrazione.

Pensa che ì Radicali continueranno nella loro battaglia così come la conosciamo - nonostante la loro forza elettorale sia esigua e rischino di veder compromessa la loro capacità di influenzare il dibattito pubblico - o, presto o tardi, si fonderanno con altre forze e altre tradizioni?

La nostra forza elettorale sarà esigua ma è anche vero che non è una novità. Siamo abituati a fare i conti con poche truppe e ristrettezze economiche. Dall’altra parte non scommetterei troppo sulla nostra dipartita, in fondo siamo il partito più longevo sulla scena politica italiana. Facciamo ormai parte del vissuto italiano, da almeno tre generazioni, come nessuna altra forza politica e sociale. E da sempre siamo per un sistema bipartitico, quello vero, "americano" per intenderci, quindi siamo più che attrezzati, non è questo il problema. Il problema è come giocare una partita dove le regole non vengono rispettate e dove il n loco - in particolare quello dell’informazione è spesso truccato.

Il vostro prossimo immediato obiettivo/traguardo?

L’obiettivo è oggi quello di portare finalmente alla luce la democrazia da promuovere e affermare come nuovo ordine e forma del nostro tempo. Ampio programma? E probabile, ma è nei momenti difficili che occorre rimanere punto di riferimento per il presente e il futuro, continuando a lavorare per un cambio di cultura politica. Amiamo dire che noi siamo gente d’altri tempi, quelli futuri.

da Terra del 24 giugno 2009, pag. 4, di Andrea Boraschi, radicali.it