Il nostro obiettivo? Essenzialmente essere radicali
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di Sergio Stanzani Il 1 settembre si è svolto, a Roma, presso la sede del Partito Radicale, la seconda riunione dei segretari e dei tesorieri locali (il file con tutti gli interventi è reperibile nel sito di “Radio Radicale”). Tra gli intervenuti, Sergio Stanzani. Intervento importante che crediamo sia utile proporre all’attenzione di tutti noi Vorrei riuscire ad aggiungere un granellino, in un momento che è difficilissimo, e lo sappiamo tutti. La necessità che abbiamo è sempre quella di prevedere, di anticipare, però gli strumenti, i mezzi, i modi per farlo differiscono a seconda di quello che vi volta in volta è l'obiettivo. Allora il problema è: qual è l'obiettivo che ci poniamo con questo incontro. La verità è che non è facile anche se sembrerebbe banale: il nostro obiettivo è quello di essere radicali. Ma già dicendolo in questi termini, adotto un linguaggio che forse è comprensibile per voi, per noi, ma che di per sé - per gli altri - è già difficoltoso; e dal momento che quel che vogliamo essere non hanno nessuna voglia, nessuna motivazione di comprenderlo e di farlo camprendere - salvo pochissimi – ecco che già qui si chiude un primo cerchio. Come facciamo a spezzarlo? Il dilemma della storia radicale - cioè di conservare, mantenere unità di visione e di azione politica garantendo una presenza, una iniziativa che sia il più possibile completa di per se - la ritengo impossibile. Occorre avere ben chiaro che la nostra storia, la nostra peculiarità, il nostro essere, il nostro essere stati capaci - ed è per questo che dobbiamo se siamo qui ancora a parlare - è di riuscire, in qualche modo, a rappresentare un momento unitario di prospettiva, di previsione, senza per questo rinunciare a nulla di quelle che sono le opportunità che di volta in volta vengono offerte, e che noi dobbiamo e possiamo utilizzare. La stessa terminologia una volta l'avevamo un più chiara; oggi, nella complessità del discorso che si è man mano sviluppato, è un dato che si è perso. “Alternanza per l'alternativa" è un termine chiaro: significa che noi diamo priorità al momento di prospettiva, quello dell'alternativa, perché vogliamo e dobbiamo essere una alternativa. Allora il metro di valutazione, il modo di comportarci, quando ci poniamo il problema di essere alternativi ci preclude ad un certo punto dall'uso - almeno con certe modalità - dell'alternanza. Ma noi non possiamo fare a meno dell'alternanza per dare alimento e continuità alla nostra presenza politica. Queste cose sembrano - e forse un pò lo sono - fantasticherie; io dico che è un modo per tentare di far capire. E ora introduco un altro modo per porre il problema. Il problema organizzativo è un modo per affrontare e tentare di risolvere il nostro percorso. Noi però abbiamo sempre avuto paura - ne sono convinto - della organizzazione; ed è una contraddizione voluta, caratteristica - anche questa - del linguaggio radicale o di Marco Pannella in particolare: dici che non vuoi una cosa perché in quella circostanza non la puoi e non la devi volere, anche se quella cosa in quel momento è assolutamente indispensabile. L'unica cosa che noi abbiamo trovato storicamente per tentare di risolvere questo problema - che poi non è un’esigenza solo nostra - noi lo affermiamo in questo modo perché ci vogliamo distinguere, e riteniamo che nella distinzione e nella differenza ci sia la forza che vogliamo proporci e proporre agli altri. In partenza credevamo che il problema si potesse risolvere dicendoci federalisti; ma il problema è poi quello di essere federalisti o federati, e quand'è che diventiamo federati in una realtà che non è e non vuole essere federalista. E’ la contraddizione dal centro e dalla periferia: come conciliare il centro (che sa d’essere centro e ha tra i suoi obiettivi fondamentali quello di rendere comprensibile il discorso dell'unità radicale, innanzitutto agli iscritti e a noi stessi), con il problema del federalismo. Noi ci siamo arroccati sulla associazione. Nell’importanza che nella storia radicale c'è stata e c'è per il momento associativo, azzardo che ci sia il riscontro di una delle motivazioni originali del sorgere della storia radicale: se non ci fossero state l'associazione universitaria e le associazione goliardiche in un momento quale era quello del dopoguerra, come avremmo potuto noi mai avviare un discorso che si distingueva - già da allora fin dal primo momento - con i suoi valori democratici, liberali, dalla partitocrazia che già allora si stava affermando? Siamo riusciti con poco a fare molto, come oggi. Il problema è se sia sufficiente. Ma noi non possiamo perdere la consapevolezza di essere unitari; il mio dissenso con Daniele Capezzone è questo: lui non è mai stato unitario; è stato un singolo, si è sempre occupato di se stesso. Ed è per questo che io sono qui, voi con le vostre presenze, i vostri volti, e lui sta da un'altra parte. Aver riproposto e riportato all’attenzione del Partito Radicale con il problema economico, in termini drasticamente e puramente liberali come sta facendo il collettivo Welfare to work è una cosa importantissima; noi che siamo nati liberali per anni non ce lo siamo permessi. E' una conquista straordinaria, non saprei dire se sia nostra, o dovuta all'opportunità del momento che viviamo. L'importanza del momento organizzativo è fondamentale in questo contesto, anche se abbiamo sempre visto nell'organizzazione una limitazione della nostra capacità: perché se si organizza si riduce, si contiene, si condiziona la libertà; e la libertà è fondamentale anche per noi, per lo stare insieme. Quindi questo è un momento in cui o riuscite a rendervi conto che ci vuole il coraggio di vedere come - in mezzo a questo casino - è possibile ridare valore teorico al tavolo per la strada; anche con i mezzi che abbiamo bisogna avvertire l'importanza di quel mezzo - che a noi ha dato la speranza di avere qualcosa di più e di meglio per raggiungere i nostri fini - perché anche gli altri, che sono quello che sono, se ne approprieranno, così come accade per il termine "radicale". Con questo discorso io vorrei convincervi che è necessario, e non è tempo buttato, via quello di fare delle riflessioni “organizzate” sulle organizzazioni. Ma state attenti perché non possiamo pensare agli aspetti organizzativi del momento radicale disgiuntamente; deve essere uno dei momenti che teniamo come fattore comune perché se ci scappa anche questo faremo passi indietro, in un momento in cui l'ultimo passo stiamo riuscendo ad evitarlo. Il problema del momento organizzativo oggi c'è, e dobbiamo cercare di avere dei momenti di riflessione, di studio, proprio come facevamo una volta.L'associazione come deve essere organizzata? Secondo il nostro statuto è organizzata dagli iscritti, che costituiscono il Partito Radicale, che si associano o su un aspetto tematico o su quello localistico; e attraverso quella associazione si danno un mezzo e un modo per dare una risposta organizzata, periferica, a quello che il Congresso mette come priorità nella sua mozione, ma per avere questi gradi di libertà in questa configurazione politica, dobbiamo essere sicuri che anche in periferia ci siano delle condizioni che li rendano capaci di accogliere, dialogare e anche contraddire, con il momento unitario e nella loro specificità. Capisco che è un momento difficile e che noi radicali non siamo riusciti, finora, ad avere quell'attenzione necessaria, senza trascurare, ovviamente, il momento centrale dell’iniziativa politica, in questo momento costituita dalla moratoria, o dai temi economici. |
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NOTE
notizieradicali, 4-IX-07
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