La costruzione della libertà degli iracheni
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di Antonella Spolaor Dentamaro Il 26 e 27 settembre scorsi si è tenuta a Roma la conferenza sul “Ruolo delle Seconde Camere nelle democrazie federali e decentrate”, che ha visto la partecipazione di oltre quaranta parlamentari iracheni, tra i quali i Presidenti delle due principali istituzioni federali irachene: il Parlamento Nazionale e l’Assemblea Regionale del Kurdistan-Iraq.Si è trattato del terzo appuntamento sul tema dell’applicazione del federalismo in Iraq, preceduto dal seminario di Venezia del 2005 e dalla riunione di Erbil del luglio scorso. Tale programma volto a contribuire al processo di democratizzazione del paese è condotto in collaborazione tra l’associazione radicale Non c’è Pace Senza Giustizia e l’organizzazione irachena International Alliance for Justice, presieduta da Bakhtiar Amin, già esponente dell’opposizione irachena durante il regime di Saddam Hussein. Il Ministero degli Esteri italiano ha deciso di finanziare questo progetto a fronte degli impegni presi dal nostro governo a promuovere e sostenere il percorso verso la stabilizzazione del paese e l’assetto di una struttura democratica di governo. L’obiettivo è ambizioso, talvolta ostacolato dalle incertezze delle stesse parti in causa così come dalle imprudenti interferenze di altri attori con – anche - altri interessi, come gli Stati Uniti e l’Iran. Il contesto in cui si inserisce in modo parallelo questa serie di incontri e dibattiti sull’ipotesi federalista tra i più alti rappresentanti delle istituzioni irachene è quello della nuova strategia americana per giungere ad una stabilizzazione del paese, concepita dopo il rigetto del Rapporto Baker del 2006 che aveva ricevuto le critiche non solo del Governo iracheno e del Presidente della Regione Autonoma Curda, ma della stessa Condoleeza Rice. Il punto politico più rilevante del Rapporto infatti, era rappresentato dall’apertura alla Siria e all’Iran nell’ambito dei negoziati sulle strategie di ritiro delle truppe americane nonché sulla collaborazione e partecipazione dei due paesi ad un Gruppo d’appoggio internazionale dell’Iraq. Ne è seguita la conferenza internazionale di Sharm el Sheik del 3 e 4 maggio, aperta alla partecipazione dei paesi confinanti con l’Iraq, nonché della Lega Araba, dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, dell’ONU, dell’Unione Europea, dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, dei Paesi del G8. Insomma di tutti e tutti convocati per discutere di sicurezza e stabilizzazione dell’area. Il piano quinquennale approvato dai partecipanti si snoda in diciannove punti che vanno dalla lotta al terrorismo al controllo del traffico d’armi alle frontiere e al principio di non ingerenza negli affari interni dell’Iraq. Il cambio di rotta americano consiste insomma nel ritorno ad una strategia multilaterale nella gestione del problema iracheno ma anche ad un riavvicinamento con l’Iran, con cui gli Stati Uniti hanno ripreso le relazioni diplomatiche dopo 27 anni. Entrambi i Paesi hanno interesse a vedere un Iraq stabile, ben sapendo che i problemi politici principali dell’Iraq sono il garantire da una parte una equa distribuzione dei ricavi petroliferi tra le diverse rappresentanze etniche dall’altra una equa ed efficace ripartizione dei poteri fra governo federale e regioni. In questo contesto, appunto, le rappresentanze istituzionali del Paese hanno avviato in modo indipendente un dialogo sulla soluzione federalista prevista dalla loro costituzione, affrontando nell’ambito degli incontri promossi da Non c’è Pace Senza Giustizia temi quali la distribuzione delle risorse (petrolio e gas), la loro gestione, la stesura di una legge elettorale che garantisca la più ampia rappresentanza e trasparenza, i diritti fondamentali della persona e il rafforzamento del ruolo delle donne, l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa, il ruolo di una seconda camera, le sue funzioni e le sue competenze. Certo, non che l’Unione Europea possa essere di grande esempio di federalismo applicato. Su questo Pannella è intervenuto durante il dibattito a Roma riportando ai partecipanti l’idea di Europa di Altiero Spinelli e come essa si sia perduta tra i rigurgiti nazionalisti di un continente vecchio e burocratizzato, sempre più incapace di rispondere alle esigenze di libertà, integrazione e democrazia dei suoi cittadini. Di questo gli stessi iracheni sono consapevoli e in questi tre appuntamenti hanno dimostrato di avere chiaro l’obiettivo della costruzione di una “Patria Irachena” piuttosto che di un “Iraq delle patrie” sciita, sunnita e curda. Escludono qualsiasi ipotesi di ripartizione territoriale su basi etniche o religiose del loro paese – peraltro praticamente impossibile per una questione di distribuzione geografica delle diverse etnie – e lavorano su una ipotesi di decentramento dei poteri con un Parlamento forte e rappresentativo, che venga reso solido da un ancor più solido sistema elettorale. Tra i più forti ed autorevoli sostenitori di questo percorso di costruzione del processo democratico vi è Safia Al Souhail, una delle 73 deputate del parlamento nazionale iracheno, figlia dello Sceicco Taleb Al Souhail, oppositore del regime di Saddam Hussein assassinato in Libano, dove viveva in esilio con la famiglia, nel 1994. Dopo la morte del padre, Safia ne ha ereditato il ruolo di leader dell’opposizione fondando con il marito Bakhtiar Amin l’organizzazione per i diritti umani “International Alliance for Justice”. E’ la donna più conosciuta e la figura politica più “scandalosa” dell’Iraq. Come ha raccontato alle ventidue parlamentari riunite da Donatella Poretti per capire come le donne deputate italiane possano contribuire all’affermazione del ruolo di quelle irachene, durante i negoziati sulla Costituzione irachena ha dichiarato che l’Islam deve essere una delle risorse del processo legislativo, ma non la risorsa. Eletta nel 2005 al parlamento nelle liste dell’ex primo ministro Allawi, poche settimane fa ha lasciato il partito denunciandone la scarsa democraticità interna e ha annunciato la costituzione di un partito liberal-democratico, fondato sui principi della laicità dello stato. E’ lei una delle persone più aperte alla ipotesi di una moratoria delle esecuzioni capitali in Iraq, consapevole della sete di giustizia – che spesso si confonde con quella di vendetta – dei milioni di vittime del regime di Saddam ma anche della straordinaria occasione di crescita politica che si presenta per tutti gli iracheni anche solo proponendo la riflessione sul fallimento della pena di morte come strumento deterrente del crimine. Safia è indubbiamente una risorsa importante per l’Iraq, come lo è il Presidente dell’Assemblea Nazionale del Kurdistan-Iraq Adnan Mufti, che ha attivamente cooperato nella organizzazione dell’appuntamento di Erbil e la parlamentare curda Rozan Dizayee, la giurista che ha predisposto il disegno di legge per contrastare la pratica delle mutilazioni genitali femminili presente in alcune piccole comunità del nord della regione. E’ questa la parte più riformatrice della classe dirigente politica irachena, che va supportata ed alimentata di nuove idee affinchè possano essi stessi far prevalere nell’assetto istituzionale i principi di laicità e libertà dell’individuo. E’ sorprendente come in un contesto così delicato si debba correre il rischio di fare dei passi indietro rispetto ad un percorso così faticosamente conquistato, a causa ad esempio della imprudente risoluzione del Senato americano, approvata a grande maggioranza proprio all’indomani della conclusione della conferenza sulle Seconde Camere. Il 28 settembre infatti, con una convergenza singolare di democratici e repubblicani, il Senato americano ha approvato una risoluzione che prevede un emendamento al disegno di legge sulla difesa del 2008 e specifica che “gli Stati Uniti dovrebbero appoggiare attivamente un accordo politico in Iraq basato sulle disposizioni finali della Costituzione, che creano un sistema di governo federale e consentono la creazione di regioni federali, in conformità con i desideri degli iracheni e dei loro leader”. Fin qui tutto corrisponderebbe ad un coinvolgimento costruttivo e di supporto al lavoro che gli iracheni hanno già intrapreso, se non fosse che la stessa risoluzione propone di dividere l’Iraq in tre entità regionali: una curda, una sunnita e una sciita con un governo federale con sede a Baghdad che abbia la responsabilità della sicurezza delle frontiere e della gestione dei proventi petroliferi. Per tutta risposta, vissuta non senza ragione come una inopportuna ingerenza americana nella vita costituzionale dell’Iraq, il premier iracheno Al Maliki ha criticato aspramente e respinto la risoluzione, obiettando che “ogni decisione riguardo al futuro e alla sovranità dell’Iraq verrà presa dal popolo iracheno”. Vale a dire che non è più tempo di piani Marshall, bensì di un confronto politico che possa arrichirsi, per esempio, dell’esperienza di governo federale americano in un dialogo paritario anziché su posizioni in stile “liberatori/liberati”. |
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NOTE: Giunta di Radicali italiani e direttivo di Non c’è Pace Senza Giustizia notizieradicali, 3-X-07. |