Il violento giro di vite della Giunta militare birmana alla “rivoluzione dello zafferano” non è arrivato di sorpresa. I generali hanno perso ogni credibilità di fronte al loro popolo e sono rimasti con un solo strumento di controllo – la repressione. Non importa quanti fucili o carri armati abbiano, perché dipendono ancora dai semplici soldati a cui è affidato il compito di fare il lavoro sporco. La storia insegna che quando un numero sufficiente di persone smette di obbedire agli ordini, oppure quando cambia parte, il potere della giunta si disintegra. Da questo punto di vista la rivoluzione dello zafferano non è finita, anzi è solo all’inizio.
La disobbedienza è il cuore della lotta nonviolenta. “Anche il più potente dei potenti non può comandare senza la cooperazione del comandato”, diceva il Mahatma Gandhi. I movimenti nonviolenti non sono vittoriosi necessariamente quando le masse scendono nelle strade, ma quando un numero sufficiente di persone non collaborano più, si rifiutano di obbedire, mettendo così in crisi la sostenibilità del sistema esistente.
Le notizie di defezioni birmane continuano a trapelare dal paese. Secondo fonti di dissidenti, in vari luoghi pubblici stanno spuntando poster dell’opposizione; sulle mura delle prigioni, attaccati con il nastro adesivo a palloncini gonfiati ad elio e perfino sulle zattere. Le proteste non equivalgono ad un movimento nonviolento, ma sono un tipo di tattica nonviolenta. E il “people power” non è una forza misteriosa che fa sì che migliaia di cittadini improvvisamente si materializzino nelle strade scatenando un’inversione di rotta del regime. I
l people power è l’applicazione sostenuta e strategica di una serie di tattiche nonviolente, tra cui la disobbedienza civile, il boicottaggio, lo sciopero e la non cooperazione. Gene Sharp, studioso della nonviolenza, ha documentato oltre 198 tipi di azioni nonviolente ed ogni battaglia vinta ne genera di nuove.
Gli obiettivi strategici delle azioni nonviolente sono quattro. Possono far crollare il normale funzionamento di una città, di una regione o di un paese, rendendo così impossibile l’ordinaria amministrazione. Nel brutale regime cileno di Augusto Pinochet per esempio, l’opposizione attuò il rallentamento, scelse cioè un giorno in cui la maggioranza degli abitanti di Santiago avrebbe camminato o guidato a metà della velocità con cui camminava o conduceva l’auto abitualmente. Così facendo la popolazione fece intendere ai Generali che era stanca – e questo senza che nessuno avesse rischiato la vita.
Secondo un esiliato birmano, i militanti in Myanmar “stanno invitando la gente a non cooperare con il regime e a non recarsi a lavoro nelle fabbriche e negli uffici”. Come ha detto 30 anni fa il Premio Nobel per l’Economia Thomas Schelling, iniziative nonviolente possono anche possono anche portare via ciò di cui il regime ha assoluta necessità, ovvero denaro, cibo, risorse e manodopera.
Durante la rivolta popolare nelle Filippine contro Ferdinand Marcos, la gente si recò in massa a ritirare i risparmi dalle banche che avevano legami col regime e smise di pagare le spese per i servizi. Quest’operazione mise pressione su un’economia a secco e malgestita. Marcos aveva bisogno di soldi perché ogni repressione ha un costo. E’ molto costoso nutrire, trasportare ed equipaggiare i soldati, come lo è comprare la fedeltà e degli Alti Ufficiali e della cerchia ristretta di chi detiene il potere.
Le strategie e le iniziative nonviolente possono anche indebolire le fondamenta su cui si basa il sostegno all’oppressore – le istituzioni e i gruppi sui quali deve assicurare il controllo – tra cui la polizia e l’esercito.
Un esiliato birmano ha raccontato che i soldati non stanno obbedendo completamente agli ordini, e che alcuni di loro si stanno assentando senza permesso. Inoltre si sarebbe creata una spaccatura tra i due generali più influenti all’interno del “Consiglio di Stato della Pace e dello Sviluppo”.
Una lezione tratta da lotte nonviolente del passato riguarda l’importanza del comunicare la visione di società basata sulla giustizia, il rigetto della vendetta e che include un posto per coloro che disertano le fila dell’oppressore.
Infine, le azioni nonviolente possono traghettare la gente verso l’opposizione. Una fetta sempre più grande della popolazione del Myanmar ha deciso di spegnere la televisione, e perfino le luci, nel momento in cui iniziano i notiziari serali di regime, segnalando così sostegno all’opposizione e avversione al governo.
Se dunque i generali volevano la tranquillità, l’hanno trovata – una tranquilla mobilitazione ma con un gran potenziale di crescita. E’ stato il caso della Turchia nel 1997, quando una protesta contro la dilagante corruzione, iniziata con lo spegnimento simultaneo delle luci, sfociò manifestazioni di oltre 30 milioni di persone.
Dalla prigione il Rev. M. L. King scrisse: “La nostra dolorosa esperienza ci ha insegnato che l’oppressore non concederà ma la libertà; deve essere l’oppresso a chiederla”. E’ quello che migliaia di persone stanno facendo e faranno in Birmania.
notizieradicali, 22-X-07.