Quando il proibizionismo uccide... “naturalmente”
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di Tommaso Ciacca Quando Domenica 14 ottobre leggo su un giornale locale "Brillante operazione della polizia. Maxi piantagione di cannabis, arrestata coppia... B.A. di 44 anni e R.R. di 54 anni..." , Aldo Bianzino è già morto nel carcere di Capanne a Perugia e la sua compagna, Roberta Radici, rilasciata da poco per poter stare vicino al figlio minorenne, è sconvolta. Nei giorni successivi apprendiamo dalla stampa che per "l'agricoltore di cannabis" si è trattato di "morte naturale". Conosco le colline e le montagne dove Aldo viveva. Si tratta di luoghi dove si trovano casolari isolati, spesso abitati da chi ha scelto una vita appartata, improntata alla dimensione spirituale, di chi vive di coltivazioni biologiche o organizza corsi di yoga e meditazione nei week-end; qui è difficile immaginare centrali del narcotraffico: siamo ad oltre un ora dalla città. Penso al dolore che può avergli procurato l'arresto. Aldo e Roberta incensurati, catturati in casa al mattino, mentre fanno colazione, separati dal figlio di 14 anni, Rudra, che rimane con la nonna. Morte naturale? Dopo 36 ore di carcere? Un uomo sano che conduce una vita sana! Rifletto sulla iniquità di leggi proibizioniste che creano danni e drammi evitabili. Per coltivare cannabis! Cosa succederebbe se fosse vietato coltivare la vite? Quale sproporzione tra reato e misure adottate! Mi tornano in mente le parole che arrivavano da un'altra parte dell'Umbria, esattamente sette anni fa, quando Luca Coscioni lanciava la sua lista per le elezioni online dei radicali..." una lista antiproibizionista sulle droghe, sulla ricerca scientifica, sul sesso, su tutto...". Passano i giorni, e dalle cronache trapela che l'autopsia effettuata, avrebbe messo in evidenza lesioni a fegato, milza, cervello. Nulla di ufficiale, ma è troppo importante che non si chiuda l'informazione sulla vicenda. Noi radicali di Perugia lo chiediamo ai giornalisti, ci attiviamo per una interrogazione parlamentare, diffondiamo la notizia in rete e veniamo contattati dagli amici di Aldo che ce lo descrivono come mite e nonviolento, impegnato nel suo mestiere di falegname. Vengono aperte due inchieste, una per omissione di soccorso e una per omicidio. Oggi, siamo ad oltre un mese dall'accaduto e nonostante gli appelli, le interrogazioni parlamentari, la visita del sottosegretario, la manifestazione nazionale di un migliaio di cittadini, non emerge alcun elemento in grado di fare chiarezza su ciò che avvenne quella tragica notte. E' accettabile che nel luogo ove per definizione il controllo e la responsabilità dello Stato sono totali possa accadere ciò senza che se ne conoscano immediatamente le ragioni? Dove sono le Istituzioni? Dove vive il diritto? Perché nessun Consigliere regionale ha sentito il dovere di fare una ispezione in carcere all'indomani della morte di Aldo Bianzino? Le Istituzioni come possono sottrarsi ad una inevitabile perdita di fiducia dei cittadini? La delibera regionale n° 94 del 10 ottobre 2006 prevede l'istituzione del garante dei detenuti, la cui nomina doveva essere svolta entro 90 giorni (art.10) dall'entrata in vigore della legge.
La figura del garante dei detenuti sarebbe stata in grado di contribuire positivamente alla chiarezza da tutti auspicata sul mistero della morte di Aldo Bianzino? A nostro avviso sì. Perché la legge regionale che prevede in Umbria la nomina del garante dei detenuti rimane inapplicata da più di un anno? La presenza di Gianfranco Spadaccia, garante dei detenuti del Comune di Roma, in conferenza stampa a Perugia il 16 Novembre, testimonia la volontà di non arrendersi e chiedere legalità, verità, giustizia per Aldo e per tutti. |
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NOTE: da “Agenda Coscioni” dicembre 2007, mensile dell’associazione Luca Coscioni
notizieradicali, 4-XII-07.
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