IL TIBET NON SI PIEGA
di Fr. Pu.
Nel 1987, a Washington, il Dalai Lama propose un piano in cinque punti che prevedeva la trasformazione del Tibet in una zona di pace e tutela faunistica e ambientale, la fine dei trasferimenti forzati nell’altopiano della popolazione cinese di etnia han, il ripristino delle libertà democratiche, la dismissione da parte della Cina dell’installazione in territorio tibetano di armi nucleari e dell’abbandono di rifiuti radioattivi e, infine, l’auspicio di seri negoziati.
Successivamente, il 15 giugno 1988, nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo, la guida tibetana in esilio precisò di non pensare affatto all’indipendenza del Paese delle Nevi ma di ritenere giusta la creazione di uno stato democratico e autonomo all'interno della Repubblica Popolare Cinese.
Nonostante contatti avviati, la Cina non ha mai ammorbidito la propria politica. Anzi, la situazione in Tibet è sembrata appesantirsi sotto il giogo della superpotenza militare ed economica con l’inasprimento, in molti casi, della repressione.
Anche recentemente abbiamo d’altronde avuto la riprova di questo atteggiamento, con gli interventi minacciosi e ricattatori dell’ambasciatore cinese a Roma durante l’ultimo viaggio del Dalai Lama nel nostro paese.
In una situazione come questa, non sono mancate le spinte estremiste e le manifestazioni di insoddisfazione da parte di rappresentanti degli stessi esuli tibetani, come gli appartenenti allo Youth Congress i cui dirigenti hanno più volte annunciato d’essere intenzionati a intraprendere una rivolta contro la colonizzazione cinese.
In questo senso va, tra l’altro, ricordato il suicidio con il fuoco, avvenuto esattamente dieci anni fa, del quarantenne Thubten Ngodup. Si tratta, ovviamente, di una prospettiva che, se non controllata, rischia di inficiare seriamente la stessa linea rigorosamente nonviolenta seguita fino ad ora dai tibetani.
In una propria risoluzione approvata il 12 dicembre scorso,il Parlamento europeo ha appurato il permanere del mancato riconoscimento in Cina (e in Tibet) dei diritti umani ed ha espresso il proprio rammarico per l’assenza di concreti risultati dopo ben sei incontri sinotibetani. Il governo cinese è stato, dunque, invitato a “impegnarsi in sostanziali negoziati che tengano nella dovuta considerazione le richieste di autonomia del Tibet avanzate dal Dalai Lama” e a non esercitare pressioni sugli stati che intrattengono amichevoli rapporti con il leader tibetano. Si tratta, come abbiamo potuto constatare, di pii desideri rimasti purtroppo palesemente inascoltati.E’, intanto, di qualche giorno la notizia che cinque organizzazioni di esuli tibetani in India, e precisamente il Tibetan Youth Congress, la Tibetan Women’s Association, il Movimento Gu Chu Sum, il Partito Nazionale Democratico del Tibet e il gruppo Studenti per il Tibet Libero, hanno annunciato a New Delhi la costituzione del Tibetan People’s Uprising Movement, Movimento di insurrezione del popolo tibetano, finalizzato al coordinamento di comuni azioni di resistenza a partire dai prossimi mesi, alla vigilia delle imminenti olimpiadi di Pechino 2008. Nel ricordare che i giochi si svolgeranno solo pochi mesi prima del cinquantesimo anniversario dell’insurrezione di Lhasa, verificatasi nel 1959, i portavoce hanno chiesto a tutti i tibetani di dare nuova voce alla resistenza e nuovo vigore alla lotta per la libertà.“È arrivato il momento”, hanno affermato, “in cui siamo chiamati ad assumere il controllo del loro futuro grazie a un movimento di resistenza unificato e coordinato. Dobbiamo far sapere ai cinesi e a tutto il mondo che il desiderio di libertà arde ancora nel cuore di ogni tibetano sia all’interno del Tibet sia in esilio. In particolare, dobbiamo dimostrare che, anche dopo cinquant’anni, desideriamo tornare nella nostra terra. Ai tibetani in esilio e ai nostri sostenitori in tutto il mondo libero chiediamo di cogliere ogni opportunità per protestare contro i giochi olimpici e appoggiare la lotta per la libertà del popolo tibetano”.
E’ stato altresì annunciato che la prima spettacolare azione è prevista per il prossimo 10 marzo, quarantanovesimo anniversario della pacifica rivolta di Lhasa contro l’occupazione cinese, con una marcia pacifica che, partendo da Dharamsala, dovrebbe raggiungere Lhasa, capitale del Tibet.
Tsewang Rigzin, Presidente del Tibetan Youth Congress ha specificato che si tratta di “un’iniziativa dei tibetani in esilio per rafforzare la resistenza e portare la lotta dentro casa” ed ha invitato a scendere in piazza e manifestare, in modo nonviolento, ovunque la Cina faccia transitare la fiaccola olimpica.
11-I-08, notizieradicali