di Francesco Pullia, Luca Pardi, Jolanda Casigliani, Guido Biancardi, Claudia Sterzi, Alessandro Rosasc
In questi giorni le cronache sono state occupate dall'ipocrita e mistificatoria proposta di moratoria dell'aborto di Giuliano Ferrara sposata immediatamente dalle gerarchie vaticane. Questo genere di campagne, che i radicali conoscono bene, sono generalmente lanciate in nome di un generico principio di difesa della vita che rappresenta nella sua forma più violenta e intollerante, il nucleo della cultura dominante, d'ispirazione cattolica, segnata dall'antropocentrismo secondo cui la difesa della vita si esaurisce unicamente nella sfera umana, in senso specista, e sarebbe inerente solo a questa. Ogni altra possibile considerazione riguardante i diritti degli altri esseri senzienti viene giudicata con ironica superiorità come manifestazione di un estremismo ecologista irrazionale e romantico. Al contrario noi pensiamo che sia giunto il momento di rivendicare la lungimiranza di una visione olistica che intenda l'uomo come parte integrante e integrata dell'ecosistema terrestre in piena ed ineludibile interdipendenza con tutte le altre forme viventi. In quest'ottica, la feticistica sacralizzazione di un grumo di cellule invocata con forza dai falsi difensori della vita, deve essere radicalmente rigettata perché teoreticamente, eticamente, scientificamente inaccettabile. Ad essa va contrapposta la promozione dei diritti di tutti gli esseri che con l'uomo condividono le sorti di questo pianeta. E dato che il primo aspetto di violazione dei diritti animali è costituito dalle diverse forme di allevamento intensivo industriale, riteniamo giusta oltre che utile una moratoria proprio su questo tipo di allevamenti. Giusta perché le condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi sono semplicemente simili a quelle dei condannati ad essere sterminati nei lager o nei gulag dei regimi totalitari. Utile perché tale moratoria sarebbe un segno nella direzione del ritorno graduale dell'uomo verso un'alimentazione decisamente più equilibrata, meno dispendiosa in termini di spreco di ingenti risorse che potrebbero essere altrimenti e meglio destinate, autenticamente nonviolenta, cioè non basata su rapporti di (pre)dominio, sofferenza, annientamento.Si tenga ben presente che la Fao, quindi certamente non “un'organizzazione animalista”, ha indicato nel quantitativo abnorme del metano prodotto proprio dagli allevamenti intensivi uno dei fattori dell'inquinamento e del degrado climatico. Il settore zootecnico mondiale sta aumentando vertiginosamente con un ritmo più elevato di ogni altra attività rurale costituendo circa il 40 per cento della produzione agricola complessiva. Se continueremo così la produzione di carne raggiungerà nel 2050 circa 465 milioni di tonnellate, mentre quella di latte supererà tranquillamente 1043 milioni di tonnellate. Le stime mostrano che oggi la biomassa dei vertebrati terrestri (mammiferi, uccelli e rettili) è costituita solo per il 2% da biomassa selvatica, il restante 98% è costituito per un terzo dalla biomassa umana e per due terzi dalla biomassa di animali allevati intensivamente (bovini, ovini, suini ecc).Se si tiene conto anche dell'incidenza dell'aumento della popolazione umana nel mondo non è difficile azzardare previsioni pessimistiche anche in termini di gravità di danni ambientali. Inutile nascondere che politiche inappropriate e una gestione inadeguata del bestiame hanno sensibilmente contribuito all'avanzamento della desertificazione e ad un aumento di morti da sterminio per fame e per sete.Crediamo, quindi, che sia giunto il momento di attuare davvero una politica per e della vita impostata non sulle menzogne ma sul rispetto e sul superamento della sofferenza per e di tutti. Occorre una rivoluzione culturale. La nonviolenza è il suo cardine.
11-I-08, notizieradicali