M.A. Farina Coscioni: ´si no hay libertades para los gitanos, no las habrá para nosotros´
La regola, sia per i credenti che per i laici, dovrebbe essere quella del precetto evangelico “ama il tuo prossimo come te stesso”; magari emendata come ha recentemente raccomandato l’arcivescovo emerito di Milano, cardinal Carlo Maria Martini: “Ama il tuo prossimo che è come te”. Questo pensavo quando insieme a Rita Bernardini, Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti e ad altri dirigenti e compagni del Partito Radicale, ho accompagnato l’europarlamentare rom ungherese Viktoria Mohacsi nei campi vicino Napoli, di Poggioreale e di Ponticelli, il campo dato alle fiamme nel corso di un raid razzista, e ormai deserto...
Ho visto centinaia di rom, tra cui moltissimi bambini, che vivono tra cumuli di rifiuti, in baracche costruite con materiale in amianto, e che nulla hanno a che invidiare alle favelas.
Quei luoghi – lo dico senza alcun spirito polemico o intenzione provocatoria – dovrebbero essere visitati anche da esponenti di governo e della maggioranza; si renderebbero conto delle conseguenze dei provvedimenti sull’immigrazione, criminogeni, che alimentano situazioni di tensione altissima. Non riesco davvero a dare torto a Viktoria Mohacsi, che in un suo quaderno di appunti, dopo la visita nei campi di Napoli ha scritto: “A Ponticelli è tutto bruciato, le persone sono state sfollate, molti mi hanno detto di sentirsi come ad Auschwitz”.
Non è la sola, Viktoria. Ha sollevato una quantità di risentite reazioni la dura presa di posizione della vice-premier del governo Zapatero, Maria Teresa Fernandez de la Vega: “L’Italia non ha una sua politica sull’immigrazione, non ha riconosciuto i rom neanche come minoranza linguistica; i duecentomila che vi vivono, ottantamila residenti da molti anni ma senza un documento, sono stati censiti dall’Opera nomadi, ma non dallo Stato italiano”. Sono dure le accuse della Fernandez de la Vega; ma non sono state smentite: “Nei campi si vive nel terrore. Le condizioni sono orribili, senza luce e acqua corrente, si vive in baracche di lamiere tra rifiuti e topi, e senza i servizi essenziali”.
Certamente i rom, gli zingari possono risultare irritanti; può dare fastidio la petulanza con cui chiedono spiccioli agli angoli delle strade; quando si introducono in casa per rubare o ti sfilano il portafogli in autobus, è giusto che siano puniti, condannati. Ma questo vale per tutti. Accade invece che la nostra “democratica” informazione – e massimamente quella radio-televisiva di Stato – enfatizzi a dismisura la notizia di reato, quando a commetterlo è un rom o un rumeno (non si va tanto per il sottile, per tanti giornalisti gli uni e gli altri, pari sono); mentre la notizia è minimizzata quando un rom o un rumeno sono vittime. Quando stuprano, rubano, uccidono, conquistano pagine e pagine, e servizi televisivi. Quando però è una ragazza rom a subire violenza, o è un rumeno a morire in un cantiere edile, a stento se ne dà la notizia. Lo ha recentemente denunciato Marco Pannella al Parlamento Europeo, forte di una inoppugnabile documentazione fornita dal Centro d’ascolto: “Dinanzi alla gravità dei fatti vi è un atteggiamento e un’ignoranza della realtà italiana ed europea che mi fa paura: la colpa è sempre degli altri. E allora rivendico il diritto di autoaccusarci. A Roma, a Napoli, abbiamo governato noi, da quindici anni. A Roma, a Napoli e in tutta Italia si è sviluppata una campagna televisiva vergognosa: si è passati dal 10 al 24 per cento dell’informazione televisiva nel denunciare i crimini, creando una psicosi da paura”.
Dove non c’è democrazia e dove non c’è pace per i Rom, non ci sarà pace e democrazia neppure per tutti gli altri, italiani compresi.
Di fronte a quello che accade ogni giorno sotto i nostri occhi non è possibile tacere. Per questo, tra le altre iniziative che stiamo predisponendo per respingere le odiose manifestazioni di xenofobia di pochi violenti che certamente non rappresentano il “sentire comune” di questo paese, abbiamo deciso di promuovere un “intergruppo parlamentare di amicizia coi popoli rom”.
Non vogliamo limitarci ad una mera testimonianza di solidarietà, ma attivarci perché anche i rom possano da una parte diventare titolari di diritti civili, economici, sociali, politici e culturali come tutti; e dall’altra assumersi la responsabilità di doveri per una inclusione sociale che non comporti annullamento della propria specificità e non generi e alimenti conflittualità. Perché “ieri” i rom, i rumeni, gli albanesi eravamo noi, quando in Francia, in Germania, negli Stati Uniti ci chiamavano “terroni”, “macaroni”, “dago”. Anche noi, fino a “ieri” “puzzavamo” e venivamo considerati tutti mafiosi, non solo a Broccolino.
Ve la ricordate la poesia del pastore luterano tedesco Martin Niemöller, arrestato nel 1937 dalla Gestapo su diretto ordine di Hitler, infuriato per un suo sermone?
Quando i nazisti sono venuti a prendere i comunisti,
ho taciuto
non ero certo un comunista
Quando hanno incarcerato i socialdemocratici
ho taciuto
non ero certo un socialdemocratico
Quando sono venuti a prendere gli operai
ho taciuto
non ero certo un operaio
Quando hanno preso gli ebrei, ho taciuto
non ero un ebreo
Quando sono venuti a prendere me,
non c'era più nessuno che potesse protestare.
9-VI-08, notizieradicali