• da Il Riformista del 19 giugno 2008, pag. 5
di Emma Bonino
"Basta trattati": mi pare questo il sentimento più chiaro che attraversa l’Europa, non solo l'Irlanda. Dopo la doppia bocciatura franco-olandese del trattato costituzionale nel 2005, il risultato di domenica scorsa ha amplificato il messaggio. Questa volta nessuno può dire di non aver sentito. Non possiamo dirlo noi nelle capitali degli Stati membri, come non può dirlo a Bruxelles la Commissione europea, custode dei trattati, che in tre anni ha assistito al fallimento di ben due progetti di trattato. La Commissione presieduta da Barroso, oramai in dirittura d'arrivo, ha avuto la sventura di accompagnare l'Europa attraverso uno dei suoi periodi meno esaltanti dal punto di vista dell'integrazione politica, con sonore bocciature che si sono alternate a prolungate "pause di riflessione". C'è davvero da chiedersi se al momento di nominare il prossimo presidente dell'esecutivo europeo non sia il caso di iniettare una forte dose d'innovazione e di vitalità, anziché andare a una riconferma in un clima di silenzio-assenso. E soprattutto, se non sia il caso di attivare un vero dibattito pubblico, anche per quanto riguarda la scelta dei singoli commissari, anziché annunciare il risultato nel corso di una conferenza stampa alla fine di una riunione a porte chiuse, che fa seguito magari ad un giro di telefonate tra qualche leader europeo.
Analisi e paralisi. Un salto di qualità, come accadde per l'euro e per Schengen, non è più rinviabile, Abbiamo un anno prima delle prossime elezioni europee e 18 mesi prima dell'insediamento della nuova Commissione: usiamo questo tempo per verificare se esiste una visione comune per procedere insieme. Senza inutili introspezioni, senza "analisi" che spesso si traducono in "paralisi", ma facendo ricorso anche a strumenti intergovernativi, perché se un gruppo di paesi procede più spedito, se si coalizza un forte e coeso nucleo federalista, il processo d'integrazione avrebbe finalmente un nuovo motore. Con problemi certo, ma anche con energia propulsiva per andare avanti, almeno fino al 2010 ed oltre. L'essenziale è che la reazione sia rapida e che l'Europa non ceda allo sconforto e all'immobilismo.
Basta con le riflessioni. Dopo il fallimento del piano A - il trattato costituzionale - e del piano B - il Trattato di Lisbona - non c'è spazio per un piano C che preveda un ulteriore negoziato sulle modalità di approfondimento dell'Unione. Occorre cambiare metodo e modalità di ratifica. Ma, nel frattempo, per quanto riguarda l'Italia, la ratifica parlamentare di Lisbona potrebbe diventare un'occasione per capire cosa davvero vuole fare il governo Berlusconi per contribuire a costruire una nuova Europa che sia una patria europea e non un'Europa delle patrie. Ma potrebbe avere anche un'altra valenza: se si riesce a piegare le resistenze della Repubblica Ceca e alla fine saranno 26 paesi su 27 a ratificare, questo significherebbe che il 99% della popolazione europea avrebbe approvato il trattato e che la crisi rimarrebbe confinata al no del referendum irlandese. Comunque un'indicazione e un senso di marcia. C'è da augurarsi che oggi e domani, al vertice europeo, i capi di Stato e di governo non soccombano di fronte alle difficoltà, ma compiano il guizzo necessario per evitare di relegare l'Europa ai margini di un mondo globalizzato che procede con ritmi sempre più incompatibili con i nostri riti istituzionali. E che non ci condannino ad un altro "periodo di riflessione". Non servirebbe a nessuno un'Europa che continua a riflettere in un mondo in cui tutti gli altri fanno i fatti.
19-VI-08, ni¡otizieradicali