Caro Direttore, ho letto l’articolo di Bill Emmott di domenica scorsa dove propone d’introdurre in Afghanistan una sorta di Politica agricola comune per sostituire con frumento le vaste coltivazioni di oppio che hanno prodotto, nell’anno record 2006, il 93% dell’eroina mondiale. Sono lieta che Emmott condivida il giudizio da me espresso quando ero a capo della missione degli osservatori elettorali europei in Afghanistan nel 2005, cioè che la strategia dello sradicamento è stata fallimentare, ma rimango perplessa rispetto ai sussidi agricoli, una strada già ampiamente perseguita con risultati altrettanto fallimentari. E stato il governo britannico - assecondato dall’Onu, la Nato e l’Unione europea - a spingere per una strategia antidroga basata sulla conversione delle colture, riversando nel Paese decine e decine di milioni di dollari con la sola conseguenza di alimentare corruzione e omertà: i soldi consegnati ai governatori e ai capi della polizia locale sono stati usati dai contadini per aumentare la loro produzione di oppio oppure sono finiti direttamente nelle tasche dei signori della droga, come documenta in maniera dettagliata Ahmed Rashid nel suo ultimo libro Descent into chaos.
La lotta internazionale al narcotraffico è stata fin qui condotta sotto la pressione costante di risultati «rapidi e visibili» per l’opinione pubblica. Ma l’eradicazione forzata, aerea o terrestre che sia, colpisce solamente l’anello più debole della catena, i contadini, per i quali l’opzione di abbandonare la coltivazione del papavero è quasi impossibile, visti i debiti contratti con i trafficanti che forniscono loro utensili e semi, oltre a prestiti per superare l’inverno e garanzie di accesso al mercato. Anzi, sradicamenti limitati fanno pure comodo ai trafficanti visto che alzano il prezzo dell’oppio!
È oramai evidente che questa politica non ha intaccato ma anzi rafforzato il potere della narco élite, composta in gran parte dai neo Talibani con collegamenti Al Qaedisti, che continuano a operare in un ambito di sostanziale impunità. L’Afghanistan continuerà così a vivere di una rendita illegale che alimenta la corruzione, mantiene i gruppi armati e mina la stabilità a livello regionale, allontanando il Paese da ogni forma di Stato di diritto.
Sono d’accordo che non esiste una ricetta miracolistica, ma di fronte ai rovesci innegabili subiti dalla war on drugs così come impostata dagli americani seguiti a ruota dagli inglesi, perché scartare per ragioni ideologiche quella che invece appare come la soluzione più ragionevole? La posizione di noi radicali è nota: per sconfiggere le narco mafie una politica antiproibizionista di legalizzazione che azzerasse. sotto control- lo internazionale, il prezzo delle droghe determinerebbe l’immediato crollo dei giganteschi profitti oggi generati. Ma senza arrivare a questo, nel caso dell’Afghanistan, perché non riprendere la proposta lanciata dal Senlis Council e ripresa da una risoluzione del Parlamento europeo che propugna la coltivazione regolamentata del papavero attraverso la concessione di licenze per il mercato legale dei medicinali, in particolare per gli antidolorifici, come avviene per altri Paesi? Le Nazioni Unite da anni denunciano la crisi ell’approvvigionamento mondiale di antidolorifici, soprattutto per i Paesi del Terzo mondo dove la penuria è acuta. La domanda di produzione legale di oppio è enorme - oltre diecimila tonnellate l’anno - e l’Onu calcola che non se ne copre neppure l’80 per cento. Per non parlare, poi, dell’insopportabile paradosso per il quale negli ospedali del Paese massimo produttore di oppio la scarsità di antidolorifici è pressoché totale e spesso si opera «a vivo». Senza l’esplosione nella produzione di oppio in Afghanistan, il ritorno dei Talebani e la riorganizzazione di Al Qaeda con i suoi campi dì addestramento non sarebbero stati possibili. È ora che i governanti del mondo capiscano che il fallimento della lotta alla droga è la principale causa del fallimento politico, economico e militare in Afghanistan.
5-IX-08, Emma Bonino, corrieredellasera