"La frontiera digitale dei diritti", Marco Perduca

Secondo i dati statistici del 2005, presentati in occasione degli Stati generali dell’Editoria del 21 e 22 settembre scorsi, il 47% degli italiani non ha letto per niente. I lettori amati dai librai, i cosiddetti lettori “forti”, leggono in media dieci libri l’anno, quota che viene considerata massima. Tra questi lettori pare che la maggioranza siano donne tra i 25 e i 44 anni, laureate, con reddito elevato residenti al centro nord. Pare anche che i giovanissimi comprino solo due volumi all’anno che però non leggono. Uno scenario piuttosto preoccupante.

Eppure, a sfogliare i quotidiani solo in queste ultime settimane, si legge che a Bologna il Festival del libro d’arte abbia avuto un notevole successo e che il Ministero per i Beni Culturali, insieme alle associazioni più rappresentative degli Enti locali, darà il via a una manifestazione intitolata “Ottobre, piovono libri” che avrà come epicentro 250 eventi in tutte le città italiane. A Pordenone, in questi giorni, una grande manifestazione coinvolge intellettuali provenienti da tutte le parti del mondo e il libro è ancora una volta protagonista.

Ascoltando le riflessioni degli editori, ci si accorge che nelle scuole italiane mancano le biblioteche e che la figura del bibliotecario è solo marginale, allo stesso tempo, ascoltando le associazioni dei consumatori, ci vien detto da un’inchiesta realizzata da un gruppo di giovani, che il 34% delle famiglie rinunciano alle vacanze per sostenere il caro-scuola e che tre famiglie su 10 riducono i consumi alimentari per affrontare lo stesso problema… A tutto questo vanno sommati i problemi più strettamente economici dell’industria editoriale italiana nelle graduatorie mondiali e la distribuzione dei lettori all’interno del nostro Paese se si considera il fatto che Milano da sola legge come otto regioni messe insieme. Il comprato tira, ma non troppo, gli utili sono sufficienti, ma non esaltanti.

Insomma una situazione generale complessa che potrebbe essere più rosea e che rischia però di oscurarsi ulteriormente in un mondo che si sta innovando tecnologicamente anche nell’editoria.

Infatti, se nel dominio del “reale” sono da auspicare razionalizzazioni di spesa che consentano l’ottimizzazione dei contributi pubblici per l’internazionalizzazione a la promozione dell’editoria nazionale, il suo aspetto “virtuale” può offrire nuove prospettive globali rivoluzionarie. Focus principale di questo cambiamento radicale dell’editoria diviene la tutela del diritto d’autore.

L’Italia corre ancora una volta il rischio di non cogliere fin dall’inizio le varie opportunità di sviluppo editoriale offerte dalla Rete e la mancanza di attenzione agli sviluppi tecnologici può produrre risposte legislative e politiche inadeguate a un fenomeno che ormai, anche economicamente parlando, sta assumendo dimensione sempre più rilevanti in tutto il mondo.

Secondo uno studio del World Internet Stats, a giugno del 2006 la Rete sarebbe stata usata da 1,086,250,903 persone. Nel quinquennio 2000-2005 l'incremento di accessi a Internet in Asia e Medio Oriente avrebbe superato il 400% mentre in Europa e Nord America, le zone di maggior diffusione, il numero degli utenti sarebbe più che raddoppiato arrivando a costituire la metà degli accessi mondiali.

Nel tentativo di regolamentare questi nuovi scenari relativi al diritto d’autore bisogna tenere presenti le caratteristiche di condivisione creativa, compartecipazione nella scrittura, nonché di miscela di vecchi e nuovi contenuti che hanno ispirato alcuni degli architetti della rete. Nuove e più efficaci forme di "governo digitale" dei diritti d’autore dovrebbero tener presente le continue e costanti innovazioni tecnologiche che consento una distribuzione di contenuti "senza frontiere" nazionali o di sistemi operativi, nonché la necessità di regolamentare questi nuovi sviluppi cercando di elaborare norme che possano bilanciare gli interessi degli autori ed editori con le scelte ed esigenze dei clienti. Inoltre, per quanto riguarda la produzione di opere con danaro pubblico, o la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale nazionale – a tutt’oggi pressoché inesistente in Italia - vanno adottare leggi che ne promuovano gratuitamente la fruizione, ma anche la riutilizzazione, andando ad affermare anche in Italia il cosiddetto “pubblico dominio”.

Come spesso accade a proposito di innovazioni, anche legislative, gli Stati uniti si son posti il problema per primi. Purtroppo, visti i crescenti interessi economici - ma anche le straordinarie potenzialità di influenza, creazione e manipolazione del consenso legati alla Rete - quello che avrebbe potuto divenire un dibattito politico culturale di portata epocale circa la circolazione delle idee, le potenzialità creative, comunicative ed educative di Internet sta invece evolvendosi in un vero e proprio scontro tra gli interessi forti e consolidati delle Major multinazionali della tele-comunicazione e le rivendicazioni al limite dell’ anarchia di alcuni tecno-filosofi cibernetici.

A partire dal Digital Millennium Copyright Act del 1998, che per la prima volta ha previsto sanzioni penali per la violazione del diritto d'autore in ambito digitale, tanto a livello nazionale quanto internazionale sono state adottate leggi per normare quanto offerto in potenza da Internet. A detta di molti però queste leggi si son rivelate del tutto inadeguate perché sbilanciate a favore degli autori, editori ampliando, per analogia, molte delle norme relative alla grossa distribuzione tradizionale. Non è un caso se gli Stati uniti, ancorati a business model più adatti alla rivoluzione industriale che a quella digitale, nei vari trattati di "libero commercio" che stanno negoziando coi loro vicini dell'America centro meridionale fanno della lotta alla contraffazione e alla pirateria del virtuale uno dei cardini dei loro accordi bilaterali.

Sebbene sia sacrosanto adottare misure che tutelino il riconoscimento dell’autorialità e delle prerogative in merito alle “proprietà del prodotto dell’intelletto” che garantiscano la remunerabilità del prodotto della creatività individuale, occorre allo stesso tempo tenere in considerazione anche la necessità di garantire una quanto più vasta gamma di possibilità di scelta per la domanda, nonché i diritti di chi acquista e/o fruisce dell’opera tanto a fini personali e privati quanto a fini di re-interpretazione per creazione artistica o duplicazione a fini di lucro o meramente ludici.

Pomo della discordia l’applicazione in ambito “digitale” delle normative relative al diritto d’autore, ma anche l'adozione di una serie di leggi molto restrittive inerenti ai diritti delle cosiddette proprietà intellettuali e ai brevetti sulle opere dell’ingegno individuale (libri, musica, film, ma anche programmi software, hardware ecc.). Secondo molti esperti e critici della normativa USA che ha funto da modello al resto del mondo, in un epoca caratterizzata dall'immediatezza degli scambi e dalla velocissima duplicazione dei contenuti, applicare le norme previste oggi per l'editoria cartacea o cine-televisiva potrebbe arrivare a limitare fortemente la circolazione dei prodotti e delle idee, e/o eventuali e conseguenti innovazioni, in esse contenute. Negli ultimi anni si è infine consolidata una normativa che mina alla radice il concetto e la tutela della proprietà privata in quanto qualsiasi tipo di prodotto tecnologicamente avanzato non diviene mai di totale proprietà dell'acquirente ma, in ossequio della tutela dei brevetti di alcuni software che ne gestiscono varie funzioni, esso resta utilizzabile in base a delle vere e proprie "licenze d'uso".

Si tratta quindi di trovare un compromesso liberale che bilanci gli interessi della domanda e dell’offerta. Dagli Stati uniti arrivano esempi prammatici di ricerca di soluzioni possibili tra gli interessi della varie parti. Di particolare interesse quelli promossi dal think tank californiano Creative Commons che, partendo dai “contratti atipici” in uso tra programmatori del cosiddetto free and open source software, ha sviluppato una serie di licenze che consentono di passare da un regime di "tutti i diritti riservati" a uno di "alcuni diritti riservati". Il loro successo commerciale è stato immediato sia tra artisti pop sia in alcune amministrazioni pubbliche tra le quali il Ministero della cultura del Brasile guidato dal cantante Gilberto Gil. L'enciclopedia gratuita on-line Wikipedia viene pubblicata grazie alla partecipazione di esperti, redattori e fotografi che rinunciano a godere dei proventi dei propri diritti d'autore a fronte del riconoscimento dell’autorialità, per fornire informazioni gratuitamente; stesso dicasi per la Public Library of Science uno dei siti scientifici open access di maggiore sviluppo e rilevanza degli ultimi anni.

Questi nuovi approcci non devono essere visti come attacchi al diritto d’autore, bensì come un nuovo sviluppo possibile in ambito digitale di quanto fino a oggi aveva caratterizzato la realtà di un mercato di beni tangibili. Da tener presente anche le richieste di riduzione a 15 o 20 anni della validità dei diritti d'autore delle opere in distribuzione nella Rete come già sostenuto in campagna elettorale dalla Rosa nel Pugno. Allo stesso tempo, come la coalizione di Governo ha sostenuto chiaramente anche prima delle elezioni, piuttosto che criminalizzare la tecnologia, com’è avvenuto in Italia con la Legge Urbani che mette fuori legge il peer to peer che consente di scambiare pacchetti di dati da computer a computer, occorrerebbe regolamentare e tutelare le varie reti nella Rete al fine di consentire la lecita condivisione di ciò che si produce o possiede o mette a disposizione di altri facendo fungere del proprio computer una centralina di rimbalzo della trasmissione. Inoltre andrebbe stabilito, su esempio del Governo USA, che tutto quanto viene prodotto con danaro pubblico sia fruibile, ma anche duplicabile e distribuibile, da chiunque senza nessun costo aggiuntivo per promuovere la nostra cultura e lingua nel mondo favorendo integrazioni tra pubblico e privato e rilanciare l’immagine virtuale dell’Italia (immagine che langue nel ciberspazio da una quindicina d’anni col sito istituzionale www.italia.it ancora in fase di realizzazione, il sito www.italia.com improvvisato e di pessima qualità, www.italia.org di proprietà di una fondazione texana, www.italia.net che non è stato registrato).

Per quanto riguarda la gestione dei diritti d’autore nella Rete, piuttosto che irreggimentare Internet in schemi Novecenteschi, occorrerebbe introdurre dei criteri di flessibilità nella riscossione dei diritti d'autore, nonché aggiornare e adeguare alla realtà digitale le organizzazioni che oggi gestiscono gli interessi di autori ed editori partendo da una radicale riforma del sistema della SIAE. Solo sinergie di questo tipo possono rappresentare un primo passo nella direzione giusta, una direzione che possa consentire a chiunque di sfruttare appieno le opportunità culturali, economiche e politiche della Rete senza recare danno agli altri internauti. Anche di questo si parlerà all’incontro “Democrazia digitale>“Democrazia digitale: Governo dell'Innovazione e Società della Conoscenza, qualche passo indietro per un salto avanti!”.

notizieradicali, 27-IX-06