"Chiudere il Partito Radicale?", Yuri Guaiana (una tradición radical con 140 años de historia)

Chiudere il Partito Radicale?

Pubblicato: 12/01/2015 13:05 CET Aggiornato: 12/01/2015 13:06 CET
La chiusura del Partito Radicale nel 60° anniversario della sua ri-nascita è una proposta che ritengo interessante e degna di considerazione e mi dà speranza affinché qualcosa di nuovo nella forma, ma uguale nello spirito possa emergere.

D'altra parte la storia del radicalismo italiano è sempre stata un fiume carsico che ha percorso la più ampia storia nazionale e ha preso forme assai diverse. L'esperienza politica del radicalismo può riferirsi, a Romagnosi e Cattaneo. Poi ha preso la forma del Partito Radicale storico, fondato ufficialmente dall'esponente radicale repubblicano Agostino Bertani il 26 maggio 1877. Nel 1904 nasce poi il Partito Radicale Italiano, che assorbe la precedente formazione politica.

Nel gennaio del 1922 fu costituito il "Consiglio nazionale della Democrazia Sociale e Radicale", cui aderì anche la direzione del Partito Radicale, sancendo "di fatto" la propria dissoluzione. Quest'ultimo organismo, al primo congresso svoltosi a Roma nell'aprile 1922, dette forma al nuovo partito denominato "Democrazia Sociale", cui, peraltro, non aderirono alcuni esponenti radicali quali Francesco Saverio Nitti e Giulio Alessio.

Nonostante l'iniziale fiducia del partito demo-sociale al fascismo, il radicalismo italiano continuò a esprimersi, prima e dopo il delitto Matteotti, nel rigoroso antifascismo di uomini come Piero Gobetti, la cui "rivoluzione liberale" ha rappresentato il tentativo di rifondare il liberalismo in senso progressista e popolare, con un occhio all'ideologia socialista, o come lo stesso Francesco Saverio Nitti. Nel novembre 1924, infine, numerosi esponenti radicali indipendenti (Giulio Alessio, Piero Calamandrei, Meuccio Ruini, Nello Rosselli ecc.) aderirono al movimento fortemente antifascista dell'Unione nazionale delle forze democratiche e liberali di Giovanni Amendola.

Democrazia sociale si sciolse definitivamente nel 1926, così come Unione Nazionale. La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, uscita nel 1922 terminò invece le sue pubblicazioni già nel 1925.

Dopo tre anni fu la volta di Giustizia e Libertà, un movimento politico liberal-socialista fondato a Parigi nell'agosto del 1929 da un gruppo di esuli antifascisti, tra cui emerse come leader Carlo Rosselli. Dopo l'omicidio dei fratelli Rosselli (1937), la guida del movimento venne assunta da Emilio Lussu, che impresse a GL una forte impronta socialista. Ciò provocò il dissenso e il distacco di numerosi componenti, tra i quali Alberto Tarchiani, che andò ad affiancare Randolfo Pacciardi alla direzione della pubblicazione repubblicana La Giovine Italia (1937). Giustizia e Libertà si indebolì ulteriormente a causa della "diaspora" conseguente alla minaccia bellica della Germania nazista. Nel settembre del 1939 Salvemini, rifugiatosi negli Stati Uniti, diede vita alla Mazzini Society, di cui il giornalista Max Ascoli assunse la presidenza. La nuova associazione si proponeva di contribuire all'orientamento dell'opinione pubblica americana di fronte alla questione italiana, ma aveva una forte connotazione repubblicana e liberaldemocratica. Nel gennaio 1942, negli Stati Uniti, un gruppo riunito attorno a Bruno Zevi fondò i "Quaderni Italiani", che divennero luogo di dibattito sui temi del liberalsocialismo. In Italia, il gruppo degli oppositori democratici ancora a piede libero sentì l'esigenza di costituire un nuovo soggetto politico.

Il 4 giugno 1942, nella casa romana di Federico Comandini, si costituì clandestinamente il Partito d'Azione che, dopo l'8 settembre 1943, rappresentò l'organizzazione politica a cui facevano riferimento i combattenti partigiani di GL. Aderirono alla nuova formazione politica, oltre ai giellisti guidati da Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, Silvio Trentin ed Ernesto Rossi (per ricordare solo gli esponenti principali), anche i liberalsocialisti di Guido Calogero, Norberto Bobbio e Tristano Codignola, i repubblicani di Ugo La Malfa, Adolfo Tino e Mario Bracci, insieme a personalità del mondo progressista e radicale come Guido Dorso, Tommaso Fiore, Luigi Salvatorelli e Adolfo Omodeo. Il Pd'A, tuttavia, nell'immediato dopoguerra si divise in due correnti: una socialista, guidata da Emilio Lussu, e una liberaldemocratica, guidata da Ugo La Malfa. Riccardo Lombardi e Vittorio Foa tentarono invano di organizzare una terza corrente che fungesse da ponte fra le due ali estreme. La divisione interna si manifestò insanabile: dopo che la minoranza liberaldemocratica aveva già aderito al Partito Repubblicano Italiano, il 20 ottobre 1947 la maggioranza socialista confluì nel Partito Socialista Italiano e il Pd'A fu sciolto.

Nel frattempo, dall'esperienza del Movimento di Ricostruzione formatosi tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943, nell'aprile 1943 nacque Democrazia del Lavoro (DL), un partito politico italiano di ispirazione democratico-progressista, i cui maggiori esponenti erano Ivanoe Bonomi, Meuccio Ruini, Mario Cevolotto, Luigi Gasparotto, Enrico Molè. La vita di DL fu breve e si concluse già nel 1948.

Nel 1949 venne fondata a Roma la rivista Il Mondo, diretta da Mario Pannunzio, le cui battaglie laiche, antimonopoliste e antiautoritarie sfociò nel 1955 nella costituzione del Partito radicale, che comprendeva fra i fondatori numerosi militanti di estrazione giellista e azionista, fra i quali spiccavano Ernesto Rossi e Leo Valiani. Nel 1962, a seguito della scissione interna al Partito fra gli alternativisti, coloro che intendevano costituire la "sinistra radicale" (Spadaccia, Pannella, Roccella, Mellini, Bandinelli, Teodori) e i filo-lamalfiani (Giovanni Ferrara, Stefano Rodotà, Piero Craveri) lo stesso gruppo degli "Amici del Mondo" si lacera e vede scindersi dal suo interno personalità quali Pannunzio, Carandini e Cattani. A provocare la rottura definiva tra Rossi e Pannunzio fu in modo peculiare il "caso Piccardi". Lo storico Renzo De Felice aveva scoperto nel corso delle sue ricerche sul razzismo in Italia, che Leopoldo Piccardi, in qualità di consigliere di Stato, aveva partecipato ad un convegno giuridico italo-tedesco destinato ad essere il luogo dell'elaborazione teorica delle leggi razziali. Mentre Pannunzio e altri "Amici del Mondo" condannarono irrevocabilmente Piccardi, Rossi che aveva sulle spalle anni di collaborazione con "l'amico del Mondo", fu solidale, insieme a Ferruccio Parri, con Piccardi; Parri e Rossi avviano da quel momento un sodalizio intellettuale che li vede collaborare sulle colonne del settimanale L'Astrolabio.

Nel corso di alcuni mesi (marzo-ottobre 1962) si erano praticamente ritirati quasi tutti coloro che avevano costituito il Partito Radicale nel 1955: i piccardiani, i laici moderati che tentarono senza alcun seguito un'"Unione Radicale degli Amici del Mondo", il gruppo dei giovani non di sinistra (Rodotà, Ferrara, Jannuzzi, De Mauro, Mombelli, Craveri), Ernesto Rossi e Eugenio Scalfari e, insieme a loro, la maggior parte dei soci attivi nazionalmente e localmente. La sinistra radicale, da sola, si assunse il compito di ereditare la sigla radicale con il simbolo del berretto frigio. Il gruppo romano, che nei tre anni precedenti aveva delineato le linee essenziali della nuova posizione, aveva pubblicato "Sinistra Radicale" e si era costituito in corrente, assunse la direzione di quel poco che rimaneva del partito, ereditandone in pieno la rappresentanza politica oltre che le esili strutture materiali. Dopo il 1967 avviene l'ultima metamorfosi che porterà il gruppo romano a recuperare la tradizione pannunziana e a dare al PR la predominante connotazione laica e per i diritti civili. Da qui inizia la storia dei radicali pannelliani a cui tutti noi ci richiamiamo.

Come si vede dal 1877 a oggi le forme che la tradizione radicale italiana ha preso sono state varie e tutt'altro che continuative. Il superamento dell'ultima di queste forme, nel contesto interno ed esterno indicato da Bandinelli (anche se io metterei molto più l'accento sulle problematiche interne rispetto a quelle esterne che pure sono ben evidenti a tutti), mi pare inevitabile e addirittura salutare. Solo così si potrà creare lo spazio necessario affinché una tradizione lunga quasi 140 anni possa trovare nuove forme di espressione di cui non solo questo paese, ma l'Europa intera ha un disperato bisogno. E proprio dalla dimensione europea non si può prescindere a partire dall'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa, un partito politico europeo che riunisce 61 partiti di stati europei, dell'Unione europea e non, accomunati da ideali liberali e liberaldemocratici. Del resto di esempi di nuove formazioni politiche che riprendono il testimone di quelle passate con energia nuova non ve ne sono solo in Italia, basta pensare al caso dei Neos austriaci.