Emma Bonino: "Piango e cerco l’amore", III-06

Intervista a Emma Bonino, di Stefania Rossetti, Grazia del 17 marzo 2006, pag. 107.

Onorevole Bonino…

“Emma”.

Emma, perché dici di non voler parlare dei fatti tuoi? Tutto quello che sei oggi è cominciato con un tuo outing. Quando, nel 1975, hai detto di avere abortito (e per questo sei stata arrestata)…

“Ho raccontato di aver abortito, non quello che ho provato a farlo”.

Puoi dirlo adesso.

“Solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito. Quando mi hanno chiesto di scegliere fra le varie tecniche possibili, ho detto: fate voi, non voglio saperne niente. Ero spaventata. Non potevo prevedere che per anni avrei lavorato su questi temi, che la mia solitudine sarebbe diventata indignazione, e poi impegno politico…”.

Non ha mai pensato di aver sbagliato?

“Ad abortire? Mai, nemmeno quando, negli anni ’80, ho cominciato a volere un figlio. Non ho mai pensato a quello che non avevo avuto: era una storia diversa, io ero una donna diversa…”.

Quanto hai desiderato questo figlio che non hai?

“Abbastanza per andare in Svizzera e tentare la fecondazione assistita. Non abbastanza per provarci più di due volte”.

Perché lo volevi?

“Perché avevo l’età in cui uno si dice: o ora o mai più. E perché le due bambine che avevo avuto in affido per quattro anni erano tornate dai loro genitori. Rimanere sola è stato un dolore immenso. Mi svegliavo al mattino senza che nessuno mi saltasse addosso, tornavo a casa la sera e c’era un silenzio orribile. All’improvviso più nessuno mi faceva sentire indispensabile, buona”.

Dunque quando discuti, da politica, di fecondazione assistita sai del dolore di cui stai parlando…

“Lo saprei anche se non avessi cercato un figlio: io conosco il dolore, comunque. L’ho attraversato”.

Quando?

“Oh, molte volte. Una per tutte: quando Roberto (Cicciomessere, ndr) mi ha lasciata, dopo più di dieci anni. Se ne è andato di colpo. Per molto tempo non sono riuscita a crederci: ero presuntuosa al punto da pensare che non fosse vero”.

Forse più che di presunzione si tratta di paura?

“Quando l’ho capita sono stata invasa dal dolore. E da altri sentimenti meno nobili”.

Quali?

“Mi umiliava l’idea che mi avesse lasciata per una ragazzina di 24 anni. Un colpo a tutto quello che pensavo di noi”.

Non sarà nobile, ma è maledettamente umano.

“Umano sì. Tutto il dolore lo è…”.

Non pensi di aver sbagliato a parlare di aborto, fecondazione assistita sempre come di diritti e non anche come di ferite?

“Non ho mai parlato di diritto all’aborto, ma di diritto a una maternità scelta. E non ho la presunzione di curare il dolore di altri”.

E il tuo?

“Adesso che mi ci fai pensare, è vero: persino con le mie amiche ho parlato poco di questo. Sarà perché il rapporto con le donne è stato una scoperta relativamente recente…”.

Prima?

“Facevo molta vita pubblica e molta vita di coppia. Quando avevo un po’ di tempo stavo con il mio compagno. Noi due soli”.

Vivevate qui?

“No, ognuno a casa propria. Non ho mai convissuto. Io non sono capace di dire: “Per sempre”.

Eppure “per sempre” ti sei votata alla politica.

“E’ vero”.

E a Marco Pannella: cosa provi per lui?

“La lingua italiana, per fortuna, ha molte declinazioni della parola amore. Io a Marco ‘voglio bene’. Direi che questa è la definizione perfetta. Il che non ci impedisce di essere lunghissimi periodi di silenzio… A volte lo sento troppo distante. E ho bisogno di allontanarlo. Marco è stato, e resta, la persona che più mi ha incoraggiata, stimata, forse addirittura sopravvalutata. Mi ha obbligata a fare cose che io credevo di non poter fare. Avevo paura”.

Paura?

“Io ho sempre paura, di tutto. Paura di parlare in pubblico, di andare in televisione, di fare cose qualunque…”.

Tu giri il mondo…

“Mi obbligo. Domino l’ansia: ma c’è”.

Che cosa ti consola?

“Piango moltissimo, da sola”.

Dove?

“Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango. Poi dopo un po’ mi alzo e faccio qualcosa. Di solito salgo in terrazzo e poto le piante. Che sono il mio orgoglio e la mia consolazione. Un giorno, piangendo, le ho potate al punto da raderle al suolo. C’erano già le prime gemme: non ho avuto fiori, quella primavera”.

Ti sei fatta del male? Hai paura di restare sola?

“Lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente. Ma la solitudine concreta non mi pesa. La mia domenica ideale è in pigiama a bighellonare per casa”.

E’ bello qui, raccolto e luminoso…

“Questa casa me l’ha comperata mia madre. E’ stato quando le due bambine in affido se ne sono andate: vivere lì dove ero stata con loro, per me, era uno strazio. E così lei mi ha comperato questa strana casa con molte scale. E non me l’ha intestata…Aveva paura che la vendessi per dare soldi al partito. Aveva ragione: ho tentato di ipotecarla. Non ti dico quando l’ha saputo”.

Che tipo era tua madre?

“Quando nel 1975 mi hanno arrestata, ha detto ai giornalisti: “Io ho tre figli molto diversi fra loro: e sono orgogliosa di tutti e tre”. La morte di mia madre, tre anni fa, mi ha lasciata completamente svuotata. E’ morta molto lentamente: seduta accanto al suo letto vedevo l’ematoma che le saliva dalle gambe, portandole via la vita centimetro dopo centimetro. Se n’è andata guardando negli occhi me e mia sorella. Di colpo ho capito di non essere più di nessuno: non sono mai stata moglie, mai madre. Sono sempre stata solo una figlia e adesso…”.

E adesso?

“Vedo un gruppo di amiche: tutte ultracinquantenni, pacificate con se stesse. Persino io comincio a piacermi”.

E’ vero che con l’ultimo sciopero della sete (nel 2001) hai perso sette denti?

“E’ vero. Mi sono procurata un principio di piorrea. Lo sciopero della sete è spietato: individua il tuo lato debole e lo fa a pezzi”.

E l’amore? Sei una di quelle che dicono: ‘Con gli uomini ho chiuso?’

“Perché? Io non escludo di trovare un nuovo compagno”.

Come lo vuoi?

“Come l’ho avuto: chiuso, introverso, silenzioso”.