"Turquía acabará como Egipto o peor", Emma Bonino

"No sé si esta crisis va a dejar a Erdogan más débil o más fuerte, pero lo está haciendo más autoritario". Emma Bonino, exministra de Exteriores de Italia y excomisaria europea de ayuda humanitaria y protección civil, es pesimista sobre el futuro de Turquía. Lamenta que la reacción de la UE sea tan "cauta". "Europa no puede hacer otra cosa que callarse ­asegura­ . Nos hemos entregado a Ankara para que capee la llegada masiva de refugiados".

¿Qué opina de las purgas tras el fallido golpe de Estado?

Fue un golpe lleno de anomalías. El alcance y la agresividad de las purgas dan a entender que las listas estaban hechas desde hace tiempo. El puño del presidente Erdogan se endurece y cuando termine su venganza va a tener entre manos una maquinaria vacía y rota. El ejército turco es el segundo más grande de la OTAN. Tras las purgas, sin embargo, será incapaz de proponerse como aliado creíble en la lucha contra el Estado Islámico. La represión alcanza a todos los sectores de la administración y la sociedad. Decenas de miles de personas han perdido sus empleos, hay más de 10.000 detenidos y muchos de ellos han sido torturados.

¿Europa puede hacer algo para frenar esta evolución?

No va a hacerlo. No lo ha hecho hasta ahora aunque esta deriva autoritaria y violenta ha sido precedida por muchas señales, como la mordaza a la prensa, las presiones sobre las oenegés internacionales y la destitución de un primer ministro crítico.

Erdogan ha suspendido la Convención Europea de Derechos Humanos, ha erosionado el Estado de derecho, se ha cargado las garantías procesales, la separación de poderes. Y Bruselas se ha entregado por entero a Ankara, delegando el tema de los refugiados, una cuestión que no supo ni quiso afrontar por sí misma. La prioridad absoluta de muchos países es no tener a miles y miles de inmigrantes aporreando en la puerta. Erdogan custodia a 2,7 millones de refugiados. Esta es su arma más poderosa. Y Europa ha sacrificado la defensa de los derechos humanos y civiles en Turquía en el altar de la crisis de los inmigrantes.

Más que defender la democracia, nos ha importado quitarnos del medio a los refugiados.

¿Los refugiados son un problema más de la UE o de los estados miembros?

La inmigración y la defensa de las fronteras no son tema comunitario. Los estados nunca renunciaron a su soberanía en estos ámbitos. Es injusto echarle en cara a Bruselas una crisis que se debe a las políticas miopes de los gobiernos. Esta Europa ­donde importan sólo los estados y que ha perdido todo sentido de comunidad­ no está ni de lejos a la altura de la situación.

¿Cómo terminará Turquía?

Como Egipto o peor y Europa se acostumbrará y no hará nada.

¿El islam es incompatible con la democracia?

En la mayoría de los países árabes vemos tensiones entre el Estado de derecho y el islam. Sin embargo, existen muchos países de mayoría musulmana donde este conflicto no se da, como por ejemplo Indonesia. Tampoco se dan en India, donde hay 200 millones de musulmanes.

Túnez y Marruecos son ejemplos positivos, a los que Europa y Occidente deberían apoyar más. Cuando Erdogan llegó al poder Turquía dio pasos prometedores en materia de derechos democráticos, pero entonces Alemania y Francia pararon el proceso de integración en la Unión Europea.

¿Cree que fue un error considerando lo que ha terminado pasando?

Fue un error muy grave. Estos dos grandes países impusieron su recelo a todos los otros miembros que ya habían votado a favor. Rechazada por Bruselas, Turquía miró a otro lado. Y el otro lado es todo menos democrático.

26-VII-16, L. Magi, lavanguardia

L'intervista di Pietro Senaldi

Emma Bonino: "Chi dovrebbe fare l' Europa è il primo a non crederci. La dissoluzione è vicina"

Emma Bonino: "Chi dovrebbe fare l' Europa è il primo a non crederci. La dissoluzione è vicina"

Signora Bonino, da ex europarlamentare e commissario, ha capito dove sta andando la Ue?
«Al momento la vedo ferma a metà del guado. L' Unione è una grande incompiuta davanti a un bivio».

Che porta dove?
«Da una parte alla realizzazione del progetto iniziale, un' Unione Europea (non un super-Stato europeo come spesso si lascia credere). Dall' altra parte, ed è la direzione che mi sembra prevalere, al ritorno degli Stati Nazione, che significherebbe il fallimento dell' Unione».

Perché ritiene più probabile il ritorno agli Stati nazione?
«Perché osservo la realtà: dal muro di Calais, all' Austria, alla Brexit, ogni giorno abbiamo segnali negativi sulla tenuta dell' Unione. E poi perché, come diceva il filosofo austriaco Karl Popper, uno dei più grandi pensatori del Novecento, da sempre nei momenti di crisi i cittadini si rivolgono alle istituzioni e alle autorità a loro più vicine, e quindi chiedono risposte ciascuno al proprio Comune, Regione, governo, illudendosi tragicamente che possano risolvere problemi che hanno portate e cause internazionali».

Ma perché lo reputa negativo, visto che l' Unione non riesce a realizzarsi davvero?
«Perché è un' illusione pericolosa. Ricordo sempre il monito di Mitterand: "I nazionalismi sono l' anticamera della guerra". Questo momento storico me ne ricorda drammaticamente un altro».

Il periodo tra le due guerre?
«Sto leggendo diversi libri su quegli anni e trovo similitudini impressionanti. Non può immaginare come anche da piccoli episodi in apparenza minori possano nascere crisi internazionali nefaste».

Quanto le fa paura l' affermarsi delle destre europee?
«Non è giusto chiamarle destre, visto che tra i partiti anti-Ue figura anche M5S e non solo la Lega. Sono collettori di rabbia sociale ispirati alla logica del chi fa per sé fa per tre».

Immagino che il suo giudizio sulla Brexit sia negativo… «La democrazia plebiscitaria mi ha sempre lasciata perplessa».
Ma come? Voi radicali di referendum ne avete fatti parecchi… «C' è un enorme differenza tra un plebiscito e un referendum come i nostri, solo abrogativi, vincolanti anche se spesso traditi, e che escludono materie specifiche come amnistie, fisco, trattati internazionali. I nostri costituenti pensarono a questo strumento proprio per non ripetere esperienze tragiche da dittatura della maggioranza».

Pensiero poco democratico...
«Dopo la Brexit, se vince Hofer probabilmente anche l' Austria farà un referendum contro la Ue. In Europa attualmente ce ne saranno almeno una trentina possibili e capaci di destabilizzare l' Unione sulle materie più svariate».
Ma se gli europei si fidano più dei propri leader che della Ue un motivo ci sarà… «Perché l' Unione così com' è è inadeguata ad affrontare le sfide dei nostri tempi. A mio avviso bisogna cambiare i trattati e adeguare il progetto iniziale al mondo di oggi».

Punti il dito: di chi è la responsabilità di questa arretratezza?
«Soprattutto degli Stati membri e dei governi nazionali che hanno dormito sui primi dieci anni di successi del progetto euro, e non hanno capito, o voluto vedere, quello che accadeva nel mondo, sulla frenata economica e sul cambiamento dello scacchiere internazionale. Quasi tutte le leadership nazionali mi paiono tendenzialmente poco convinte del progetto unitario. Per questo temo si adegueranno alle paure dei rispettivi elettorati e smantelleranno la Ue: nessuno ci crede abbastanza per imporsi e scommettere la carriera sul progetto federale».

D' altronde, se non ci crede la Merkel, che si è eretta a capoclasse dell' Europa, perché ci dovrebbero credere gli altri?
«La Germania, come gli altri, privilegia spesso gli interessi nazionali. Ma pure da leader riluttante, la Merkel è stata definita la più consapevole dell' illusione nazionalista».

Ritiene che abbia ammazzato l' Europa a colpi di austerity?
«Ha applicato in modo teutonico il dogma dell' austerity, tipicamente diffuso in Germania e nel Nord Europa, e questo si è rivelato controproducente. I conti in regola sono importantissimi, ma non possono essere l' unica politica».

Quali rimproveri muove alla politica comunitaria dell' Italia?
«Nessuno in particolare. Ma anche in Italia spesso quando c' è un problema difficile da risolvere si tende a scaricare su Bruxelles la responsabilità delle proprie incapacità. Un vizio comune a tutti i governi Ue, potremo dire un collante tra di essi. Ma le conseguenze di questo atteggiamento sono pessime, perché pur definendosi a parole europeista, anche il nostro governo contribuisce nei fatti ad alimentare il sentimento antieuropeista dei cittadini».

E una critica più specifica?
«La nostra priorità sembra essere quella di ottenere dalla Merkel la concessione a sforare il patto di stabilità o di avere maggiore flessibilità. Dovremmo invece cercare di rispettare i parametri e concentrarci sul nostro ruolo in Europa al di là delle contingenze economiche».

Quindi stringere ancora la cinghia: ma se finiamo impiccati?
«Guardi che a impiccarci e impedirci di crescere è soprattutto il nostro immenso debito pubblico, che oltretutto paghiamo salato non solo in termini di credibilità internazionale ma anche in termini finanziari. Il solo costo del debito equivale quest' anno a 74 miliardi».

I premier Ue si radunano ogni settimana nei posti più impensati per spiegarci che bisogna collaborare. Chissà cosa si dicono? Poco o nulla, stando ai risultati...
«C' è una deriva intergovernativa degli Stati che di fatto svuota di potere la Commissione Ue, ridotta ormai alla funzione di segretario o peggio di mero capro espiatorio».

In che modo la Ue dovrebbero cambiare i trattati per salvarsi?
«Penso che i settori siano politica economica, politica di difesa e politica estera, immigrati e integrazione e bilancio. adeguato. Ma guardi che senza cambiare i trattati sarebbe possibile anche oggi una cooperazione rafforzata, magari tra gruppi ristretti di Stati. Purtroppo la politica non usa tutte le possibilità che la Ue così com' è già le riconosce».

L' euro è una maledizione o la salvezza?
«Fu un errore fare l' euro come unica cosa: non è mai esistita nel mondo una moneta unica senza una politica comune, un tesoro e una banca di ultima istanza. Si disse, facciamo l' euro, la politica seguirà, invece si è addormentata».

La Ue rischia di più sulla crisi economica o sull' immigrazione?
«Sono due temi diversi ma che si rafforzano l' uno con l' altro. Era dai tempi del muro di Berlino che non si erigevano reticolati e strutture divisorie in Europa. Ma oggi a Calais assistiamo alle due più vecchie democrazie del mondo, Gran Bretagna e Francia, che si accordano per costruire un recinto intorno a diecimila disperati, come se per Londra fosse un problema integrarli, quando ogni anno l' Inghilterra integra 500mila stranieri».

E qual è il problema allora dei profughi di Calais?
«Proprio il fatto che sono disperati. Non è che noi non vogliamo gli extracomunitari o gli islamici, non vogliamo i poveri. La Gran Bretagna respinge chi scappa dall' Isis ma quando uno sceicco islamico che impone il burqa alle sue dieci mogli vuole trasferirsi a Londra trova il tappeto rosso, come negli altri Paesi».

A rendere gli europei avversi agli immigrati non è il timore di importare burqa e terrorismo?
«Nessuno vuole importare burqa e terrorismo ma va sfatato un altro stereotipo: la maggior parte degli immigrati o rifugiati che arriva in Italia non è musulmana ma cristiana o di altre minoranze religiose. Si tratta di gente che arriva dal Corno d' Africa e fugge da Boko Haram, Shaabab o altri gruppi estremisti».

Ma l' immigrazione islamica è quella che più si nota. Molti non vogliono gli immigrati perché temono il terrorismo. Il vento, anche in Germania, è cambiato con gli attentati, non crede?
«La crisi di consenso della Merkel è dovuta alle sue aperture agli immigrati. Ma io penso che l' islam abbia un problema di terrorismo soprattutto in casa sua: nel 2015 ci sono stati 18mila morti in attentati terroristici. Principalmente in Afghanistan, Iraq, Nigeria, Siria, Somalia».

Non sarà bello, ma è ovvio che ci preoccupino di più i cento morti del Bataclan o gli 80 di Nizza… «Certo, ma allora mi spieghi come mai le tremila vittime dell' 11 settembre non hanno messo in discussione gli accordi economici tra Usa e Arabia, malgrado sia acclarato che il terrorismo islamico è di stampo wahabita e trova la sua origine proprio nella Penisola Araba. Questo non ci impedisce però di fare affari con il Qatar. Le monarchie del Golfo sono da sempre ottimi alleati dell' Occidente: un ricco estremista del Bahrein ci fa meno paura di un siriano che scappa dall' Isis».

Cosa sta succedendo in Medio Oriente, lei che ci ha vissuto?
«Grazie al petrolio si sono create nuove potenze che hanno scatenato una guerra per il controllo della zona.
L' Occidente prima non ha capito, poi è rimasto a guardare sperando che tutto si sistemasse, poi ha deciso di occuparsene ma non ha mai capito come».

Vede una regia dietro la rivolta delle Primavere arabe contro le dittature filo-occidentali?
«No, perché la situazione economica e sociale in Egitto, Libia, Tunisia era esplosiva di per sé e non necessitava di particolari detonatori».

Diciamocelo, sono fallite…
«Hanno suscitato troppo entusiasmo e troppo presto. Non bisogna scordare che transizioni simili richiedono almeno vent' anni perché la situazione si normalizzi».

Cosa pensa dell' Isis?
«È semplicemente un gruppo terrorista più scaltro e feroce degli altri, ma non è destinato alla vittoria».

Cosa pensa del Nobel per la Pace sulla fiducia, Barack Obama?
«Non so perché gli sia stato dato all' inizio del suo mandato, ma io penso che se lo sia meritato».

Ha abbandonato l' Europa?
«Ha capito che il mondo non è più bipolare e che la supremazia degli Usa deve fare i conti con altre potenze».

Su Francesco che giudizio ha?
«Non sono un' esperta di religione. Apprezzo il Papa perché ha presente che esistono anche valori laici e con questi si relaziona».

E questo gli crea problemi con i fedeli più tradizionali… «Non con tutti. Credo che il messaggio forte di Francesco sia sensibilizzare il mondo ricco sul dramma dei poveri, e questo lo apprezzo molto. Ma adesso basta, è già quasi un' enciclopedia».

Pietro Senaldi