acusaciones a gitanos y silencio sobre las mafias

Ogni giorno, fateci caso – ma presto si sarà in grado di fornire cifre e studi “scientifici” – si legge e si apprende di crimini e delitti consumati da rom e romeni. Tocca a loro, adesso. Qualche settimana fa l’emergenza erano i guidatori ubriachi. Prima ancora gli albanesi, i nord africani; poi – ma son tempi remoti – c’erano i ferocissimi contrabbandieri di sigarette in Puglia, le prostitute, i venditori di DVD, compact e merce contraffatta… Poco importa che i tre quarti delle violenze nei confronti delle donne siano consumati da italianissimi mariti, fidanzati, cugini, amici, conoscenti. Lo stupro che fa “notizia” è quello del rom o romeno (non importa troppo distinguere). Così la rapina che piace è quella commessa da rom o romeni, e più di tutti sono graditi i rapimenti dei bambini. Lì si che si va a nozze con tutto il caravanserraglio dei pregiudizi e dei luoghi comuni. Anche per questo sarà molto interessante leggere la ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’università di Verona guidato dal professor Leonardo Piasere e che tra breve sarà pubblicata. Un’anticipazione viene da Sabrina Tosi Cambrini sul “Manifesto”:

“Tra i risultati generali dobbiamo anzitutto dire che non esiste nessun caso in cui si riscontra un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde a una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente…Inoltre in alcuni casi l’identità rom della persona è solo ipotizzata dai denuncianti; in altri l’esito dell’intervento delle forze dell’ordine e delle indagini portano a ritenere che si è trattato di un equivoco, che i fatti svolti non erano tesi a un’azione criminosa e comunque all’assoluta certezza dell’inesistenza di un tentativo di rapimento, ancora: si scopre che coloro che denunciano il fatto sono persone che cavalcano volontariamente il luogo comune degli “zingari ladri di bambini”…”.

Fermiamoci qui, per ora; è un discorso però che converrà continuare. Occupiamoci invece di una notizia, questa sì meritevole di visibilità e riflessione; e che proprio per questo non ne ha.

“Una vera e propria holding internazionale, capace di fatturare nel 2007 poco meno di 44 miliardi di euro, pari al 2,9 per cento del prodotto interno lordo italiano”. E’ l’identikit della ‘ndrangheta che emerge dal dossier 2008 realizzato dall’Eurispes. Il giro di affari prodotto dalla mafia calabrese equivale alla somma della ricchezza nazionale prodotta da Estonia (23,2 miliardi di euro) e Slovenia (30,4 miliardi). Il settore più remunerativo si conferma quello del traffico di droga che determina introiti per 27.240 milioni di euro. Le cosche delle ‘ndrine sono riuscite ad abbattere i “costi” degli approvvigionamenti della droga, in particolare della cocaina in Sud America, eliminando i cosiddetti intermediari e ricercando il contatto diretto con i cartelli colombiani e le loro “rappresentanze” in Europa.

Sul fronte dell’ “impresa”, il fatturato della ‘ndrangheta è stimato in 5.733 milioni di euro, grazie alla crescente infiltrazione negli appalti delle opere pubbliche e alla compartecipazione in imprese di ogni tipo. A completare il “paniere” criminale, i proventi illeciti derivanti dal mercato dall’estorsione e dall’usura: 5.017 milioni di euro; dal traffico delle armi: 2.938 milioni di euro; il mercato della prostituzione: 2.967 milioni di euro. La ‘ndrangheta dunque si conferma l’organizzazione criminale italiana più pericolosa, con una “vocazione internazionale sempre più spiccata e dalla struttura sempre più tentacolare, al punto da richiamare il modello di al Qaeda”.

Di ‘ndrangheta si muore: tra il 1999 e il 2008 si sono verificati 202 omicidi di ‘ndrangheta, un incremento del 67 per cento. 73 delitti a Reggio Calabria; 49 a Catanzaro; 43 a Crotone; 30 a Cosenza; 7 a Vibo Valentia. Un omicidio su quattro è ascrivibile alla ‘ndrangheta. Su questi delitti, però, pochissimi i servizi giornalistici, nessun approfondimento. Non sono e non fanno “notizia”, non sono “interessanti” in quanto “non divertenti”.

In Calabria tra il 1999 e il 2005 sono state presentate in totale 13.785  denunce – e si tratta di un dato che “fotografa” solo in parte la situazione, perché le intimidazioni dei clan e l’omertà diffusa contribuiscono a limitarne il numero -. Di queste denunce, 1.900 sono per estorsione; 7.962 per produzione, detenzione e spaccio di stupefacenti; 523 per associazione a delinquere di stampo mafioso; 359 per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione; 1.216 per ricettazione; 1.825 per attentati. Le “cosche” censite sono 131. Nella sola provincia di Reggio Calabria sono attive 73 cosche; a Catanzaro sono 21; 17 a Cosenza.

Massima enfasi per i crimini (veri o presunti non importa) di rom e romeni. Silenzio sulla ‘ndrangheta. E si riesce a capire la relazione.

22-V-08, Valter Vecellio, notizieradicali